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« Temo i Dànai, e più quand'offrono doni. » |
(Publio Virgilio Marone, Eneide (Libro II, 49); parole di ammonimento di Laocoonte ai Troiani intenti a portare il cavallo dentro la città.) |
Il cavallo di Troia è una macchina da guerra che, secondo la leggenda, fu usata dai greci per espugnare la città di Troia. Questo termine è entrato nell'uso letterario, ma anche nel linguaggio comune, per indicare uno stratagemma con cui penetrare le difese.
Dopo dieci lunghi anni di assedio inconclusivo i Greci, attuando un piano escogitato da Ulisse, abbandonano la spiaggia di fronte a Troia, dove lasciano un enorme cavallo di legno costruito da Epeo con l'aiuto di Atena, e si nascondono presso la vicina isola di Tenedo, fingendo di ritornare in patria; dentro al cavallo si celano però alcuni tra i più valorosi guerrieri di Agamennone, guidati da Ulisse stesso.
I Troiani si convincono che la guerra sia realmente conclusa anche se si dividono sulla sorte da riservare al cavallo; interviene Laocoonte, guerriero troiano divenuto sacerdote di Apollo, il quale consiglia ai suoi concittadini di diffidare del nemico e di distruggere il cavallo, a cui lancia un giavellotto, spaventando gli Achei, ma senza rivelare la loro posizione:
« Per primo accorre, davanti a tutti, dall’alto della rocca Laocoonte adirato, seguito da una grande turba; e di lungi: “Sciagurati cittadini, quale così grande follia? Credete partiti i nemici? O stimate alcun dono dei Danai privo d’inganni? Così conoscete Ulisse? O chiusi in questo legno si tengono nascosti Achei, o questa macchina è fabbricata a danno delle nostre mura, per spiare le case e sorprendere dal alto la città, o cela un’altra insidia: Troiani, non credete al cavallo. Di qualunque cosa si tratti, ho timore dei Danai anche se recano doni. » |
(Publio Virgilio Marone, Eneide, libro II, vv. 40-50) |
Alla domanda di Priamo, che, pur provando compassione per le sciagure del giovane, vuole conoscere le cause della ritirata dei Greci, Sinone risponde che Atena, la divinità che prima fra tutte proteggeva l'esercito di Agamennone, aveva cessato di sostenere i Micenei da quando Ulisse aveva profanato il tempio a lei dedicato nella città di Ilio, costringendo l'intero esercito alla resa. Il cavallo sarebbe dunque un'offerta alla dea, affinché espiasse il sacrilegio commesso. Sinone spiega inoltre le dimensioni della suddetta effigie dicendo che era stata costruita in modo tale che i Troiani non avessero potuto portarla all'interno delle mura della fortezza, poiché se questo fosse avvenuto l'ira di Minerva si sarebbe riversata sui Greci. Se invece i Teucri avessero distrutto o danneggiato il cavallo, la dea avrebbe perseguitato loro. Gli abitanti di Troia decidono dunque di aprire una breccia nelle loro stesse mura al fine di permettere l'accesso al cavallo di legno, nonostante Laocoonte e la profetessa Cassandra avessero consigliato di non farlo. Altre versioni invece dicono che il Cavallo era per Poseidone, dio del Mare e fondatore di Troia (che smise di proteggere dopo che il primo re della città non lo ricompensò). Il dio avrebbe dovuto proteggere il loro viaggio, ma se i Troiani lo avessero portato dentro, avrebbero avuto dalla loro Poseidone.
Per portare a termine l'inganno di Ulisse è perciò fondamentale la presenza di Sinone, che a causa delle sue menzogne viene giudicato sleale e ingannatorio da Enea, mentre racconta alla regina di Cartagine Didone la fine di Troia. Tuttavia il giovane chiama a testimonianza della validità del suo giuramento cose false, quali gli altari o le bende che sarebbero stati necessari per il suo sacrificio, il quale però non si sarebbe mai dovuto svolgere.
« Chiamo a testimoni voi, eterni fuochi, e l’inviolabile vostro nume, voi are e spade nefande alle quali sfuggii, e bende divine che portai in qualità di vittima… » |
(libro II, vv. 154-157) |
I Troiani si convinsero allora della veridicità delle affermazioni di Sinone e della sua buona fede; decisero dunque di trasportare il cavallo in città, abbattendo una parte delle mura ciclopiche che circondavano Ilio. Il giovane ideatore di menzogne avvertì la flotta greca celata a Tenedo e le diede segnale di tornare sulle spiagge nemiche. I soldati nascosti all'interno del cavallo di legno uscirono nella notte e, cogliendo di sorpresa i Teucri che stavano festeggiando l'improvvisa ed inaspettata vittoria, poterono uccidere le sentinelle e aprire le porte della rocca fortificata ai loro compagni, per agevolarne la conquista.
In questo modo gli Achei entrarono in città, la incendiarono e ne sterminarono gli abitanti: il massacro continuò anche per l'intera durata della giornata seguente, poiché i Troiani, benché disperati e confusi dagli effetti dell'alcool, cercarono di difendere la propria città con tutti i mezzi che avevano a disposizione. Neottolemo, figlio di Achille e della principessa Deidamia, uccise Polite e Priamo malgrado essi fossero indifesi e sotto la protezione delle divinità, trovandosi presso l'altare di Zeus all'interno del palazzo del re stesso. Conclusa la strage i Greci si divisero il bottino: Agamennone si aggiudicò Cassandra mentre Andromaca fu data a Neottolemo ed Ecuba a Odisseo. Enea, uno dei pochi eroi rimasti in vita, prese il padre sulle spalle, il figlio per mano e fuggì dalla città in fiamme.
Nelle versioni più recenti (fra cui il film Troy o i romanzi di Valerio Massimo Manfredi), vedono il Cavallo di Legno come ultima vittima delle fiamme che avevano bruciato la città.
Questo racconto non viene narrato nell'Iliade di Omero (che si conclude invece con i giochi funebri in onore di Patroclo e con il funerale di Ettore, ucciso da Achille) ed è solo incidentalmente citato nell'altro poema omerico, l'Odissea. Viene invece ampiamente sviluppato nel II libro dell'Eneide di Virgilio: Enea, principe ed esule troiano, lo riferisce infatti alla regina di Cartagine, Didone, che lo stava ospitando in una delle tappe del viaggio che lo porterà infine a sbarcare sulle coste del Lazio, dove diventerà il capostipite della genealogia che avrebbe fondato Roma.
Gli storici moderni hanno ipotizzato che il cavallo di Troia fosse in realtà un ariete da assedio a forma di cavallo, la sua descrizione sarebbe poi stata trasformata nel mito attraverso resoconti orali tramandati da persone che non avevano assistito direttamente all'evento. Pausania, uno storico greco vissuto nel II secolo d.C. scrisse nel suo libro Periegesi della Grecia che chiunque non consideri il popolo troiano incredibilmente stupido sa che il cavallo era una macchina d'assedio.[2]
Dalle fonti classiche ci sono giunte numerose varianti circa il numero di uomini che presero parte all'inganno del cavallo di Troia nascondendovisi dentro. Secondo la Piccola Iliade, antico poema andato perduto, essi erano 13, secondo Apollodoro 50[3], per Tzetze 23, mentre nei Posthomerica (versi 641-650) Quinto Smirneo dà il nome di 30 capi, affermando però che ve ne erano anche molti altri[4]. Nella tarda tradizione si stabilirono i seguenti 35 uomini:
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