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Con centrale elettronucleare (comunemente centrale nucleare o centrale atomica, anche detta centrale termonucleare o raramente centrale nucleotermoelettrica – termine che per altro meglio ne riassume il funzionamento), si intende generalmente una centrale elettrica che, attraverso l'uso di uno o più reattori nucleari a fissione, sfrutta il calore prodotto da una reazione di fissione nucleare a catena auto-alimentata e controllata per generare vapore a temperatura e pressione elevate, col fine di azionare delle turbine a vapore accoppiate ad alternatori, e produrre così – infine – elettricità.
Il termine potrà essere esteso anche alle eventuali future centrali a fusione nucleare, che potrebbero impiegare un reattore nucleare a fusione; tuttavia la ricerca in questo campo è ancora in una fase sperimentale-prototipale di impianto (vedi l'apparecchiatura ITER) e la fusione nucleare controllata è stata ottenuta in laboratorio solamente per brevi periodi di tempo e con una bassa resa energetica.
La fissione nucleare fu ottenuta sperimentalmente per la prima volta dal gruppo guidato da Enrico Fermi nel 1934 "bombardando" l'uranio con neutroni opportunamente rallentati con un blocco di paraffina. Tuttavia i fisici italiani non compresero correttamente il processo che avevano creato identificando erroneamente i prodotti di fissione con nuovi elementi transuranici la cui creazione spiegavano mediante decadimento beta. Nel 1938, praticamente nel periodo in cui Fermi era a Stoccolma a ritirare il premio Nobel, la spiegazione corretta del fenomeno venne descritta dai chimici tedeschi Otto Hahn e Fritz Strassmann, congiuntamente ai fisici austriaci Lise Meitner e Otto Robert Frisch. Essi determinarono che il neutrone, relativamente piccolo, è in grado di scindere il nucleo dei pesanti atomi di uranio in due parti pressoché uguali. Numerosi scienziati (tra i primi Leó Szilárd) compresero che le reazioni di fissione rilasciavano ulteriori neutroni, con il risultato di potere originare una reazione nucleare a catena in grado di autoalimentarsi. Gli scienziati in molte nazioni (inclusi gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Francia, la Germania e l'URSS) furono spronati dai risultati sperimentali a chiedere ai loro rispettivi governi un supporto alla ricerca sulla fissione nucleare.
Fermi, recatosi a Stoccolma nel 1938 per ritirare il premio Nobel assegnatogli per la fisica, non rientrò in Italia a causa delle leggi razziali (sua moglie era ebrea) ed emigrò negli Stati Uniti d'America, così come gran parte delle personalità della fisica europea. A Chicago gli fu affidata la direzione della realizzazione del primo reattore nucleare, conosciuto come Chicago Pile-1, che entrò in funzione il 2 dicembre 1942. Famosa rimane la frase in codice con la quale fu comunicata alle autorità il successo dell'esperimento: «Il navigatore italiano ha raggiunto il nuovo mondo» parafrasando la scoperta dell'America da parte di Cristoforo Colombo. Questa attività fu condotta nell'ambito del progetto Manhattan, che portò anche alla costruzione di alcuni reattori a Hanford allo scopo di produrre plutonio da utilizzare per le prime armi nucleari (parallelamente fu approntato un piano di arricchimento dell'uranio).
Dopo la seconda guerra mondiale, il timore che la ricerca sui reattori nucleari potesse incoraggiare un rapido sviluppo di armi nucleari e l'opinione di molti scienziati che invece ritenevano occorresse un lungo periodo di sviluppo, spinsero i Governi a tenere sotto stretto controllo la ricerca in questo settore (celebre il carteggio tra Albert Einstein e il presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt). La maggioranza delle ricerche sui reattori nucleari fu pertanto indirizzata a fini puramente militari e per diversi anni le principali scoperte nel campo delle applicazioni dell'energia atomica continuarono ad essere circoscritte alle armi con la realizzazione di migliaia di testate atomiche in grado di alimentare quel timore costante di una guerra nucleare tra superpotenze che fu la base della guerra fredda.
A scopi puramente civili invece l'elettricità venne prodotta per la prima volta da un reattore nucleare il 20 dicembre 1951, alla stazione sperimentale EBR-I (Experimental Breeder Reactor I) vicino ad Arco, che inizialmente produceva circa 100 kW (fu anche il primo reattore a subire un incidente di parziale fusione del nocciolo nel 1955). Nel 1953 un discorso del presidente Dwight Eisenhower, «Atomi per la pace», enfatizzò l'utilizzo dell'atomo per scopi civili e sostenne un piano politico per porre in primo piano gli Stati Uniti in un'ottica di sviluppo internazionale del nucleare. Nel 1954 Lewis Strauss, presidente della United States Atomic Energy Commission, in un convegno di scrittori scientifici sostenne: «Non è troppo aspettarsi che i nostri figli usufruiranno nelle loro case di energia elettrica troppo economica per poter essere misurata».[2]
Il discorso pronunciato da Strauss nel 1954 contribuì ad alimentare il dibattito pubblico. A quei tempi il consenso politico ed economico sull'uso dell'energia nucleare era dettato dalla speranza di usufruire di energia più economica rispetto alle fonti energetiche convenzionali.
Il 27 giugno 1954, la centrale nucleare di Obninsk divenne il primo impianto al mondo a generare elettricità per una rete di trasmissione e produceva circa 5 MW di potenza.[3][4]
Nel 1955 la "Prima Conferenza di Ginevra" delle Nazioni Unite, il più grande incontro mondiale di scienziati e ingegneri, si riunì per studiare la tecnologia. Nel 1957 venne creato l'EURATOM accanto alla Comunità Economica Europea (quella che successivamente divenne l'Unione Europea). Nello stesso anno nacque anche l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (IAEA).
La prima centrale nucleare commerciale al mondo fu quella di Calder Hall, a Sellafield in Inghilterra, e iniziò a lavorare nel 1956 con una potenza iniziale di 50 MW (successivamente divenuti 200 MW).[5] Il primo reattore nucleare operativo negli Stati Uniti fu invece il reattore di Shippingport, in Pennsylvania (dicembre 1957).
Una delle prime organizzazioni che svilupparono la tecnologia nucleare per la propulsione dei sottomarini e delle portaerei fu la Marina statunitense. Grande sostenitore di questa applicazione del nucleare fu l'ammiraglio Hyman Rickover, che tra l'altro sostenne anche la costruzione del reattore di Shippingport. La Marina Americana ha utilizzato più reattori nucleari di qualsiasi altra organizzazione, inclusa la Marina Sovietica. Il primo sottomarino nucleare, USS Nautilus (SSN-571), solcò i mari nel 1955.
Enrico Fermi e Leo Szilard condivisero il brevetto U.S. Patent 2,708,656[6] nel 1955 per il primo reattore nucleare, garantendosi, sia pure tardivamente, per il loro lavoro svolto durante il progetto Manhattan.
In Italia un piccolo reattore nucleare termico omogeneo, chiamato "L-54 Enrico Fermi" venne costruito dalla Atomics International, divisione della North American Aviation di Los Angeles[7]. L'impianto venne realizzato tra il 16 giugno 1958 (inizio scavi edificio reattore) ed il 29 ottobre 1960 (inaugurazione ufficiale), e gestito dal CeSNEF nel Politecnico di Milano, a scopo didattico e di ricerca fino al 1979, e alimentato con solfato di uranile; sviluppava una potenza termica di 100 kWtermici[8].
Lo stesso argomento in dettaglio: Energia nucleare nel mondo. |
La potenza complessiva delle centrali nucleari aumentò velocemente, passando da meno di 1 GW nel 1960 a 100 GW nei tardi anni settanta e 300 GW nei tardi anni ottanta. Dalla fine del 1980 la potenza è andata crescendo molto più lentamente, raggiungendo i 366 GW nel 2005, con la maggiore espansione avutasi in Cina. Tra il 1970 e il 1990 furono in costruzione centrali per più di 50 GW di potenza, con un picco di oltre 150 GW tra il tardo 1970 e i primi anni ottanta; nel 2005 sono stati pianificati circa 25 GW di nuova potenza. Però più dei 2⁄3 di tutti gli impianti nucleari programmati dopo il gennaio 1970 furono alla fine cancellati.[9]
Durante gli anni settanta e ottanta il crescere dei costi economici legati ai tempi di costruzione delle centrali, alla richiesta di maggiore sicurezza degli impianti dopo i primi incidenti seri occorsi, e la contestuale diminuzione dei prezzi dei combustibili fossili resero gli impianti nucleari allora in costruzione economicamente meno interessanti.
La crisi del petrolio del 1973 ebbe un forte effetto sulle politiche energetiche: la Francia e il Giappone che usavano soprattutto petrolio per produrre energia elettrica (rispettivamente, il 39% e il 73% dell'energia elettrica totale prodotta) investirono sul nucleare.[10][11] Oggi le centrali nucleari forniscono rispettivamente circa il 75% e il 30% di elettricità in queste nazioni.
L'opinione pubblica, in seguito a incidenti quali quello di Three Mile Island (Stati Uniti) nel 1979 e il disastro di Černobyl' del 1986, ha dato vita negli ultimi venti anni del XX secolo ad alcuni movimenti che hanno influito sulla costruzione di nuovi impianti in molte nazioni.
L'incidente di Three Mile Island ha influito molto sulla regolamentazione della costruzione dei nuovi reattori occidentali, mentre quello più grave di Černobyl' ebbe un impatto minore, dato che la tecnologia di Černobyl' che utilizzava i problematici reattori RBMK era utilizzata solamente in Unione Sovietica ed era carente di strutture di contenimento.[12] Nel 1989 venne creata l'Associazione Mondiale di Operatori del Nucleare (WANO) allo scopo di promuovere la cultura della sicurezza e lo sviluppo professionale degli operatori impiegati nel campo dell'energia nucleare.
In Irlanda, Nuova Zelanda e Polonia l'opposizione ha impedito lo sviluppo di programmi nucleari, mentre in Austria (1978) e Italia (1987 e 2011) un referendum ha bloccato l'utilizzo del nucleare. In Polonia l'opposizione trova la sua base nella politicamente potente organizzazione dei minatori,[13] che è riuscita a far sospendere il progetto dei primi due nuovi reattori in Polonia.[14] In Svezia (1980) un referendum ha interrotto un ulteriore sviluppo di questa fonte energetica. Ma, nel 2009, il governo svedese ha annunciato un accordo che consentiva il rimpiazzo dei reattori esistenti, in effetti terminando la moratoria.[15][16] La vicenda però non è chiusa, perché l'opposizione al nucleare continua la sua campagna.[17] Oggi le centrali elettronucleari forniscono circa il 40% di elettricità in Svezia.
Al contrario nel Referendum nucleare lituano del 2008 si arrivò al 91,5% di voti favorevoli all'incremento delle attività dell'uso del nucleare, ma siccome non si raggiunse il quorum richiesto dei votanti il referendum fu invalidato.
Lo stesso argomento in dettaglio: Energia nucleare in Italia. |
In Italia, il governo Berlusconi il 23 maggio 2008 ha annunciato la ripresa del piano nucleare interrotto da due decenni, con l'impegno di avviare la costruzione di una centrale entro il 2013.[18] Il 26 maggio 2011 il Governo è tornato sui suoi passi con un emendamento al decreto omnibus con il quale si rinunciava all'energia nucleare «al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche». La norma, tuttavia, è stata abrogata dalla consultazione referendaria del 12 e 13 giugno 2011, rendendo impossibile, per un periodo di almeno cinque anni dallo svolgimento del referendum, la riproposizione dell'energia nucleare in Italia.
Centrali elettronucleari in Italia[19] | |||||||||
Nome del reattore | Località | Tipo | Potenza elettrica netta (MW) | Inizio costruzione | Prima accensione del reattore | Connessione alla rete elettrica | Effettiva operatività commerciale | Arresto definitivo | Costruttore |
Latina | Borgo Sabotino (LT) | Magnox | 153 | 01/11/1958 | 27/12/1962 | 12/05/1963 | 01/01/1964 | 01/12/1987 | Società Italiana Meridionale per l'Energia Atomica |
Garigliano* | Sessa Aurunca (CE) | BWR 1 | 150 | 01/11/1959 | 05/01/1963 | 01/01/1964 | 01/06/1964 | 01/03/1982 | Società Elettronucleare Nazionale |
Enrico Fermi** | Trino (VC) | PWR | 260 | 01/07/1961 | 21/06/1964 | 22/10/1964 | 01/01/1965 | 01/07/1990 | Società Elettronucleare Italiana |
Caorso | Caorso (PC) | BWR 4 | 860 | 01/01/1970 | 31/01/1977 | 23/05/1978 | 01/12/1981 | 01/07/1990 | Ansaldo Meccanico Nucleare |
*Non ha prodotto elettricità dal 1979 a causa di problemi sul primario; **Non ha prodotto elettricità tra la fine del 1979 ed il 1983 a causa di lavori di revamping. |
Delle suddette centrali, alla data dei referendum italiani di cessazione dell'utilizzo del nucleare (1987), la centrale di Garigliano era già stata chiusa per l'antieconomicità di significative riparazioni da eseguirsi su componenti del circuito primario, mentre quelle di Latina e Trino, su cui erano appena terminati lunghi e costosi interventi di revamping, avevano ottenuto dall'Autorità di Controllo (all'epoca ENEA - DISP) il rinnovo per un ulteriore decennio della Licenza di esercizio. L'unica centrale davvero chiusa prematuramente (in quanto fermata dopo appena 6 anni di esercizio) fu quella di Caorso in provincia di Piacenza, ma è doveroso ricordare anche la chiusura del prototipo CIRENE (Latina), giunto al 99% della costruzione, e la centrale di Montalto di Castro (due reattori BWR), che si trovava al 70% delle opere civili e al 100% degli ordinativi per la componentistica, ordini che furono tutti onorati, riversandone i costi (unitamente a quelli della chiusura del ciclo del combustibile e del decommissioning degli impianti), sui cosiddetti "oneri di uscita dal nucleare" ricompresi nella "bolletta elettrica" dei consumatori italiani.
La Watts Bar 1, divenuta operativa il 7 febbraio 1996, è l'ultimo reattore commerciale entrato in funzione negli Stati Uniti. Questo fatto viene spesso citato come riprova del successo della campagna mondiale per il superamento dell'energia nucleare. A dispetto di ciò negli stessi Stati Uniti e in Europa l'investimento nella ricerca è continuato, ed appare fortemente emblematico che, dopo venti anni, il primo nuovo reattore negli Stati Uniti ad entrare, prossimamente, in servizio, sia proprio la seconda unità Watts Bar 2.[21] Alcuni esperti prevedono che la carenza di energia elettrica, l'aumento di costo e l'esaurimento dei combustibili fossili, il riscaldamento globale e le emissioni legate all'utilizzo di tali combustibili, ed in considerazione dei livelli di controllo e di sicurezza raggiunti dagli impianti atomici porteranno a una nuova domanda di centrali nucleari.[22][23]
Molte nazioni restano particolarmente attive nello sviluppo dell'energia nucleare, tra le quali Cina e India, tutte attive nello sviluppo della tecnologie sia veloce sia termica; la Corea del Sud e gli Stati Uniti solamente nello sviluppo della tecnologia termica; e Sudafrica e Cina nello sviluppo di versioni di reattore nucleare modulare pebble bed (PBMR). Finlandia e Francia perseguono attivamente programmi nucleari; la Finlandia ha in costruzione uno dei primi reattori nucleari di III generazione del tipo EPR dell'Areva, che attualmente è in ritardo di due anni rispetto ai programmi.[24] Il Giappone ha un attivo programma di costruzione di centrali nucleari con nuove unità divenute operative nel 2005. Negli Stati Uniti tre consorzi risposero nel 2004 alla sollecitazione del dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti riguardante il "Programma di Energia Nucleare 2010" e furono compensati con fondi per la costruzione di nuovi reattori, tra cui un reattore di quarta generazione VHTR concepito per produrre sia elettricità che idrogeno.[25] Nei primi anni del XXI secolo l'energia nucleare ha destato particolare interesse in Cina e India per sostenere il loro rapido sviluppo economico; entrambe stanno sviluppando reattori autofertilizzanti veloci.[26][27] La politica energetica del Regno Unito riconosce la probabile futura carenza di approvvigionamento energetico, che potrà essere colmata dalla costruzione di nuove centrali nucleari o prolungando il tempo di vita degli attuali impianti esistenti.[28]
Il 20 dicembre 2002 il Consiglio dei ministri bulgaro si espresse favorevolmente alla ripresa della costruzione della centrale nucleare di Belene. Le fondamenta dell'impianto furono poste nel 1987, però la costruzione fu abbandonata nel 1990, con il primo reattore pronto al 40%. Si prevedeva che il primo reattore divenisse operativo nel 2013, e il secondo nel 2014.[29] Alla fine la costruzione è stata definitivamente cancellata nel 2012.
Lo stesso argomento in dettaglio: Reattore nucleare a fissione. |
In una centrale nucleare a fissione refrigerata ad acqua leggera viene realizzata una fissione nucleare al fine di utilizzarne il calore scaturito per portare a ebollizione dell'acqua, sfruttando il vapore acqueo così ottenuto per la produzione di energia elettrica tramite un ciclo di Rankine, ciclo in cui - come in un motore a vapore - il vapore sotto pressione viene incanalato per generare la rotazione di turbine accoppiate ad alternatori elettrici, per poi tornare allo stato liquido condensando tramite raffreddamento, pronto ad un nuovo ciclo ebollizione-vapore-condensazione.
Il principio fisico alla base della generazione del calore in una centrale nucleare a fissione è la fissione nucleare, ovvero la scissione del nucleo di atomi pesanti quali uranio e plutonio.
Riserve nelle miniere attuali
Riserve economiche conosciute
Fonti convenzionali non ancora scoperte
Fonti minerarie totali del pianeta ipotizzate
Fonti non convenzionali ipotizzate (almeno 4 miliardi di tonnellate)
Ad agosto 2007 vi erano 439 centrali nucleari operative nel mondo, in 31 diversi stati,[30][31] che attualmente producono il 17% dell'energia elettrica mondiale.
La potenza degli impianti varia da un minimo di 40 MW fino ad oltre 1 GW (1000 MW). Le centrali più moderne hanno tipicamente potenza compresa tra i 600 MW e i 1600 MW. Attualmente solo le centrali termoelettriche a combustibili fossili e le centrali nucleari raggiungono questa potenza con una sola unità.
La vita operativa di una centrale nucleare, di prima e seconda generazione, è in genere intorno ai 25-30 anni, anche se oggi si progettano centrali di terza generazione ed oltre, che, mediante la sostituzione periodica di componenti importanti, si ritiene possano rimanere attive fino a 60 anni[32]. Al termine di questo periodo l'impianto va smantellato, il terreno bonificato e le scorie stoccate adeguatamente. Questi aspetti, in parte comuni ad esempio alle miniere ed agli impianti chimici, assumono particolare rilevanza tecnica ed economica per le centrali nucleari, riducendo il vantaggio dovuto al basso costo specifico del combustibile. Il costo di smantellamento viene oggi ridotto prevedendo un lungo periodo di chiusura della centrale, che permette di lasciar decadere naturalmente le scorie radioattive poco durevoli, costituite dalle parti di edificio sottoposte a bombardamento neutronico.
Per quanto riguarda i consumi, in base ai dati a disposizione, una centrale nucleare "media" da 1000 MWe necessita all'incirca di 30 tonnellate di uranio arricchito all'anno o 150/200 tonnellate di uranio naturale (arricchimento al 2,5-3,3%); a titolo di confronto, una centrale elettrica a carbone da 1000 MWe richiede 2 600 000 t di combustibile fossile (che devono essere trasportati fino all'impianto)[33]. La produzione di questi quantitativi di uranio presuppone l'estrazione di grandi quantitativi di roccia (che rimangono vicini al luogo di estrazione) e l'uso di ingenti quantitativi di acidi ed acqua per la concentrazione del minerale: ad esempio la miniera di Rossing in Namibia (concentrazione di uranio al 0,033% e rapporto scarto/minerale, il waste/ore, a 3) per estrarre quel quantitativo di uranio per l'arricchimento considerato si richiede l'estrazione di 1,9-2,5 milioni di tonnellate di minerale e l'uso 115-150 000 tonnellate di acqua[34], altri calcoli (concentrazione di uranio al 0,15% e rapporto waste/ore a 35) invece individuano, per un arricchimento al 3,5%, un fabbisogno di 6 milioni di tonnellate di minerale, l'uso di 16 500 tonnellate di acido solforico e 1 050 000 tonnellate di acqua.[35]
Infine, per quanto riguarda il rendimento termodinamico, va evidenziato che le centrali nucleari hanno una efficienza di conversione del calore in energia elettrica media, per le relativamente medie temperature del vapore che producono. Infatti solo una parte variabile dal 30% al 35% della potenza termica, peraltro in linea con i rendimenti degli impianti termoelettrici a ciclo semplice meno recenti, sviluppata dai reattori è convertita in elettricità, per cui una centrale da 1000 MW elettrici (MWe) ha in genere una produzione di calore di 3000-3500 MW termici (MWt); a titolo di confronto una centrale termoelettrica, come la Federico II a Brindisi, esprime un rendimento tra il 34,8% ed il 35,6%.[36] Occorre considerare una centrale a ciclo combinato a metano per avere rendimenti superiori, fino al 60%[37]. La grossa taglia media delle unità nucleari necessità di dissipare in atmosfera, in un fiume o in mare, enormi quantità di calore poco pregiato con un fabbisogno di acqua di raffreddamento veramente molto cospicuo; se per qualche motivo la portata d'acqua al condensatore di raffreddamento del vapore fosse insufficiente, si dovrebbe ridurre la produzione di energia elettrica, alla stregua di un qualunque impianto termico, sia nucleare, o a biomasse o a solare termodinamico. Ad esempio in Francia il raffreddamento delle centrali elettriche nel 2006 ha assorbito 19,1 miliardi di m³ d'acqua dolce, cioè il 57% dei prelievi totali d'acqua del paese; una parte di quest'acqua, il 93%, viene restituita ai fiumi, mentre la quota consumata (cioè utilizzata in torri evaporative) ed emessa in atmosfera rappresenta il 4% (1,3 miliardi di m3) di tutta l'acqua consumata in Francia.[38] A tale proposito si osserva che anche il sistema termoelettrico a carbone non è da meno.[39][40][41]
In alcune tipologie di reattori l'acqua del ciclo di potenza dei generatori a turbina non ha alcun contatto con il reattore nucleare, e quindi è esente da qualsiasi forma di emissione radioattiva; in altre tipologie (come ad esempio i reattori BWR o gli RBMK) invece questa separazione non esiste.
In ogni caso, durante l'esercizio, una centrale nucleare emette piccole dosi di radioattività sotto forma di effluenti sia liquidi che gassosi, in particolare trizio, isotopi del cesio, del cobalto, del ferro, del radio e dello stronzio; tali emissioni perdurano anche a distanza di decenni dalla chiusura degli impianti in quantità che vanno dalle migliaia alle centinaia di milioni di becquerel, ovvero intorno ai milliCurie.[43]
Le centrali nucleari a fissione seguono oggi norme di sicurezza di livello molto elevato[44] e condensano un bagaglio tecnologico molto avanzato. Le centrali nucleari a fissione sebbene siano tra gli impianti più controllati hanno dato luogo a numerosi incidenti di varia gravità, alcuni anche famosi come ad esempio quello di Černobyl', ma gli incidenti gravi hanno riguardato solo unità la cui progettazione è iniziata prima dell'incidente di Three Mile Island, ovvero impianti di prima generazione. A tale proposito, il terremoto del Tōhoku del 2011 è stato un non desiderato banco di prova della evoluzione tecnologica dei reattori nucleari. Infatti sono stati coinvolti svariate centrali nucleari vicine, tra cui la Centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi (Dai-ichi sta per N.1) e la Centrale nucleare di Fukushima Dai-ni (Dai-ni sta per N.2). Ebbene, tra i reattori funzionanti al momento del sisma, tutti quelli di prima generazione (situati a Fukushima n.1, 3 unità), sono disastrati, mentre tutti quelli di seconda generazione (Fukushima n.2, 4 unità) hanno superato l'evento, ed oggi potrebbero anche rientrare in servizio, e questo avendo lo stesso operatore, TEPCo.
Procedure e tecniche costruttive si sono affinate nel tempo anche al fine di contenere i rischi tipici di funzionamento, tali rischi, però, non potranno mai essere completamente annullati. Dal punto di vista tecnico, una centrale nucleare recente dispone di sistemi di protezione (ad esempio contro la discesa del nocciolo) e di verifica tali da poter mitigare, gli inconvenienti, almeno quelli prevedibili.
La IAEA ha stabilito una scala (scala INES - International Nuclear Event Scale) di gravità degli eventi possibili in una centrale nucleare o in altra installazione, che si articola nei seguenti 8 livelli:
I casi di incidenti gravi con estese contaminazioni esterne sono fortunatamente stati pochi; molto più numerosi e spesso poco noti sono gli incidenti con potenziale rischio esterno dovuti principalmente a errori umani e che sono stati confinati all'interno delle centrali grazie alle misure di sicurezza ed in qualche caso anche grazie alla fortuna, come nel caso di Browns Ferry in cui un gruppo di tecnici provocarono un incendio nel tentativo di riparare una perdita d'aria da un tubo[46]. Continui e molto frequenti sono gli eventi di livello 0 e 1, sia in occidente che nel resto del mondo e sono registrati sul sito dell'IAEA. È da osservare che la parte preponderante di questi incidenti sono simili come tipologia e frequenza a quelli che avvengono nelle centrali termoelettriche, ed hanno spesso origine nelle problematiche di contenimento di vapore acqueo ad alta temperature e pressioni, oltre a quelle di spostamento di macchinari e strutture pesanti.
La sicurezza delle centrali rispetto ad eventi sismici è da sempre una preoccupazione concreta. Le centrali sono progettate per resistere ai sismi. Tuttavia il progetto non può tener conto di sismi di entità estrema, fortunatamente rari, ma imprevedibili, per impossibilità tecnica ed economica di far fronte a sismi di magnitudo estrema, e soprattutto agli effetti collaterali degli stessi: ad esempio gli impianti giapponesi (paese geologicamente molto instabile) sono progettati per resistere ad un sisma di magnitudo 8,5, e sebbene il terremoto verificatosi l'11 marzo 2011 (magnitudo 9) avesse superato i limiti di progetto, l'elemento scatenante del disastro di Fukushima è stato in questo caso lo tsunami successivo al terremoto – di entità molto superiore a quanto stimato in fase di progetto – che ha inondato molte apparecchiature dedicate al corretto funzionamento della centrale, così guastandole e dando origine ai malfunzionamenti più gravi.
Un aumento della sicurezza comporta necessariamente una crescita esponenziale dei costi di costruzione ed è noto da molti studi (tra cui MIT, UE e Citigroup) che questa maggiore richiesta di sicurezza è una delle cause che rende le centrali più moderne meno competitive economicamente sia rispetto a quelle più vecchie che rispetto ad altre fonti energetiche. Purtroppo molto spesso i costi vengono stimati sulla base di vecchie centrali più economiche, ma anche molto meno sicure, come l'esperienza giapponese sembra dimostrare.
Storicamente si contano tre incidenti particolarmente gravi: quello di Three Mile Island, di Černobyl' e di Fukushima, con rilascio di radiazioni e materiali radioattivi nella centrale e nell'ambiente (per l'incidente ucraino in quantità molto consistenti) e a vittime conseguenti all'incidente (al momento solo per il caso ucraino) avvenuti tra i tecnici, operatori di soccorso e popolazione, come conseguenza dell'irraggiamento diretto subito.
Anche se con modalità diverse, in tutti e tre i casi si è arrivati alla fusione parziale del nocciolo del reattore.
Per capire in cosa consiste la fusione del nocciolo occorre tener conto che il nocciolo è costituito da una serie di barre di combustibile; in realtà tali barre sono dei fasci di piccoli tubi di lega di zirconio in cui sono inserite pastiglie di ossido di uranio arricchito o plutonio di alcuni centimetri di diametro e uno di altezza. Se si verifica un evento giudicato pericoloso (come un terremoto, una violenta esplosione, una serie di guasti giudicati dal computer di controllo particolarmente pericolosi), la centrale si distacca automaticamente dalla rete elettrica esterna e si aprono le valvole dei condotti del vapore ad alta pressione, distaccando contemporaneamente le turbine collegate al generatore elettrico. Contemporaneamente tra le barre del combustibile del nocciolo scendono altre barre di materiale “assorbitore”. Questa interposizione provoca il rallentamento del fenomeno di fissione dei nuclei all'interno delle barre di combustibile per l'impossibilità dei neutroni liberati dalla fissione di passare da una barra all'altra; tuttavia il fenomeno del decadimento radioattivo prosegue all'interno di ogni singola barra.
Il problema principale una volta che l'impianto è messo in sicurezza è dato dal materiale del nocciolo che continua a riscaldarsi per il calore di decadimento che continua a prodursi. È necessario quindi assicurare il raffreddamento del nocciolo facendo circolare l'acqua (o altro fluido termovettore di raffreddamento) tra le barre tramite, nei reattori meno recenti, grosse pompe elettriche. Non producendo più elettricità ed essendo distaccata dalla rete elettrica, la centrale viene alimentata da generatori di emergenza (di solito a gasolio) che partono anch'essi in modo automatico per tenere in funzione tutti i sistemi di sicurezza e raffreddamento. Smaltendo il calore del nocciolo, lo stesso, dopo qualche tempo, si raffredda a sufficienza. Se invece per un motivo qualsiasi tale smaltimento non può avvenire le barre si surriscaldano: superati gli 800º l'acqua di raffreddamento, già allo stato di vapore, comincia a scindersi in idrogeno e ossigeno. L'elevata temperatura porterebbe alla rottura del contenitore di acciaio speciale sigillato (il vessel): ciò costringe i tecnici a far fuoriuscire in maniera controllata, aprendo delle valvole, il vapore prodotto, misto ai gas di cui sopra; il vapore a contatto con la parete di contenimento di cemento armato della centrale condensa nuovamente in acqua (fortemente radioattiva), contaminando l'interno della centrale, mentre i gas, più leggeri dell'aria, si raccolgono sotto il soffitto. L'idrogeno è altamente esplosivo e basta una piccola scintilla per farlo scoppiare (è quello che è successo a Fukushima dove l'esplosione ha provocato la rottura del soffitto della centrale; a Three Mile Island invece si è riusciti ad evitare l'esplosione).
Una volta fatto uscire parte del vapore dal vessel, il nocciolo, non più coperto totalmente dall'acqua, si riscalda molto più rapidamente fino a raggiungere i 1 800 °C. A tale temperatura lo zirconio comincia a fondere (temperatura di fusione 1 855 °C), per cui il materiale fissile, ormai già fuso (temperatura di fusione tra i 639 °C del plutonio e i 1 132 °C dell'uranio), cola lungo le barre e si raccoglie sul fondo del vessel; aumentando la massa rispetto a quella contenuta in una singola barra, la fissione riprende vigore portando rapidamente alla totale evaporazione dell'acqua residua e alla necessità di ulteriori fuoriuscite volontarie di vapore per ridurre l'elevatissima pressione. La quantità di materiale fissile presente nel nocciolo, per il suo modesto grado di arricchimento, in nessun caso potrebbero portare a una esplosione termonucleare, ma un ulteriore innalzamento della temperatura potrebbe produrre la fusione del vessel e la conseguente diffusione del materiale fissile sul basamento di cemento armato refrattario della centrale e nell'ambiente nel caso in cui il contenitore di cemento fosse stato danneggiato dalle esplosioni dell'idrogeno di cui sopra. Per scongiurare tale evento a Fukushima si è gettata acqua di mare dal tetto ormai rotto provocando il completo allagamento della centrale fino a che non si è riusciti a riavviare i sistemi di pompaggio messi fuori uso dallo tsunami. A Černobyl' invece il calore derivante dalla fusione del nocciolo ha prodotto l'incendio, oltretutto all'aperto, della grafite (materiale moderatore della reazione nucleare) del reattore, e le ceneri fortemente radioattive prodotte si sono diffuse nell'aria, e, trasportate dalle correnti di alta quota, hanno contaminato, sia pure debolmente, gran parte dell'Europa.
Gli effetti sulla salute delle centrali nucleari sono stati oggetto di molti studi che hanno riscontrato posizioni anche opposte fra di loro.
Un'indagine sugli effetti sulla salute delle centrali è stata realizzata nel 2008 dall'Ente governativo tedesco per il controllo radioattivo (Bundesamtes fur Strahlenschutz). Esaminando tutti i 16 impianti nucleari presenti sul territorio tedesco in relazione all'incidenza dei tumori tra i bambini è emersa una correlazione diretta tra il rischio di essere colpiti da leucemia in bambini con meno di cinque anni. I bambini che vivono entro 5 km dai reattori sono soggetti ad un incremento del 76% del rischio di contrarre una leucemia rispetto ai coetanei che vivono almeno a più di 50 km. Questo incremento di probabilità si riduce al 26% tra 5 e 10 km, al 10% tra il 10 ed 30 km, dello 0,5% tra 30 e 50 km.[47]
Questo studio è stato oggetto di una valutazione critica da parte della commissione tedesca per la protezione radiologica (SSK) la quale afferma che: «tutte le circostanze radioecologiche e di rischio base riscontrate dall'SSK indicano che l'esposizione alle radiazioni ionizzanti causate dagli impianti nucleari non possono spiegare i risultati dello studio KiKK. L'esposizione addizionale dovuta a questi impianti è inferiore di un fattore superiore a 1000, rispetto all'esposizione di radiazioni che spiegherebbe l'incidenza di rischio riportato nel KiKK, e le fonti naturali sono diversi ordini di grandezza superiori rispetto all'esposizione addizionale dovuta agli impianti». Prosegue affermando che: «Si riscontra un aumento di rischio di leucemia per bambini inferiori ai 5 anni, con una distanza inferiore ai 5 km dagli impianti nucleari tedeschi, rispetto a zone al di fuori di questo raggio. Studi condotti in altre nazioni hanno prodotto risultati discordanti. Quindi non è possibile concludere che ci sia alcuna evidenza [statistica] per l'aumento dei casi leucemici, in generale, nelle vicinanze di un impianto nucleare. Le prove per l'aumentato rischio di cancro è limitata ad una area non superiore ai 5 km, non c'è quindi alcuna giustificazione per attribuire un fattore di rischio e calcolare gli ipotetici casi extra di cancro per distanze maggiori». Conclude dicendo: «Il motivo per cui si è riscontrato l'aumento della leucemia osservato dallo studio KiKK osservati nei bambini non è chiaro. Dal momento che la leucemia è causato da molteplici fattori, numerosi fattori contingenti avrebbe potuto essere responsabile dei risultati osservati. Sono quindi da compiere più esaustivi studi per cercare di dirimere le discordanze fra i vari studi».[48]
Nel 2010 gli scienziati tedeschi Ralf Kusmierz, Kristina Voigt e Hagen Scherb, dello HelmholtzZentrum di Monaco di Baviera (Centro Tedesco di Ricerca per la Salute Ambientale), hanno pubblicato uno studio preliminare che si focalizza in particolare sulle radiazioni ionizzanti e sulla possibilità che inducano disparità nelle percentuali di nascita di maschi e femmine nelle vicinanze di impianti nucleari. Prendendo le mosse da studi similari preesistenti (tra cui lo studio KiKK sull'incidenza di tumori infantili vicino alle centrali nucleari) e passando poi ad analizzare i registri ufficiali dei dati riguardanti i nuovi nati (in Belgio, Svizzera e Germania), le coordinate geografiche dei centri abitati, quelle degli impianti nucleari ed i loro periodi di operatività, sono arrivati a conclusioni che riassumono così: "La disparità nella nascita di maschi e femmine è aumentata a livello globale dopo i test di esplosioni atomiche nell'atmosfera, ed in Europa dopo il disastro di Černobyl'; c'è un aumento di tumori infantili nelle vicinanze delle centrali nucleari; la disparità nella nascita di maschi e femmine aumenta nei pressi di impianti nucleari in un modo che potrebbe essere associato al rilascio di radiazioni durante le operazioni di routine di tali impianti", rilevando poi la necessità di ulteriori studi al riguardo[49].
In un commento sulla autorevole rivista Environmental Health è stata avanzata l'ipotesi che alcuni radionuclidi, quali il trizio, il carbonio-14, i gas nobili radioattivi come kripton, argon, xeno, normalmente rilasciati dagli impianti insieme al vapor acqueo, vengano incorporati nel suolo e nei vegetali e che quindi si ritrovino nella catena alimentare. Le donne gravide esposte a queste sostanze radioattive le trasmetterebbero ai feti con conseguente imprinting cellulare che indurrebbe tumori nelle prime fasi della vita[50]. In effetti anche studi canadesi dimostrano che la concentrazione di trizio in frutta, verdura, carne, latte e uova è tanto più alta quanto più si è vicini all'impianto nucleare[senza fonte].
Ad inizio 2011 uno studio effettuato dal Committee on Medical Aspects of Radiation in the Environment (COMARE) inglese ha analizzato i dati sui bambini fino a 5 anni residenti in un raggio di 10 chilometri delle centrali considerate, lo studio ha quindi dimostrato che i tassi di leucemie non sono diversi rispetto a un gruppo di controllo, cioè a un campione di bambini residenti lontano dalle centrali: «Non c'è alcuna prova che indichi un aumento del rischio di leucemie e altri tumori nelle vicinanze delle centrali nucleari».[51][52]
Infine c'è da osservare che non è stato fatto alcun confronto con gli effetti sulla salute delle centrali termoelettriche, che, a causa della taglia tipica delle centrali elettronucleari, sono la tecnologia e fonte alternativa più probabile, come avvenuto a Montalto di Castro, dove la Centrale elettronucleare Alto Lazio è stata rimpiazzata dalla centrale termoelettrica policombustibile Alessandro Volta.
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L'impatto ambientale in caso di incidente grave in una centrale è una delle preoccupazioni che riguardano l'uso civile dell'energia nucleare. Non è tuttavia l'unico impatto possibile: anche l'estrazione, la purificazione e l'arricchimento dell'uranio comportano notevoli impatti ambientali, non solo dal punto di vista della semplice radioattività, ma anche in termini di consumo di risorse idriche ed energetiche nonché l'uso di sostanze chimiche (fluoro, acido solforico) per l'attività di produzione del combustibile nucleare. Il trasporto e lo stoccaggio delle scorie nucleari comporta infine notevoli rischi potenziali.
Per quanto riguarda l'impatto ambientale in caso di incidente, un criterio fondamentale di radioprotezione è che maggiore è la distanza dal sito dell'incidente, minore è il rischio. Questo aspetto è stato tragicamente riscontrato con il Disastro di Černobyl' del 1986: benché la nube radioattiva abbia percorso praticamente tutta l'Europa con gravi conseguenze, va rilevato che le aree circostanti la centrale sono tuttora inadatte alla permanenza umana (fu evacuata un'area di circa 30 km di diametro),[senza fonte] mentre così non è per il resto d'Europa.
Il motivo di questa differenza va ricercato nella tipologia di emissioni radioattive: gli elementi più pesanti ed a emivita lunga-lunghissima (uranio, plutonio,…) tendono infatti a ricadere nelle immediate vicinanze di un impianto severamente danneggiato. Viceversa elementi altamente radioattivi ma leggeri ed a vita relativamente breve-brevissima (cesio, iodio ed in generale i prodotti di fissione) tendono a "volare" più facilmente e quindi coprire ampie distanze. Il tempo di permanenza "in volo" permette tuttavia ad una quota di radioattività di decadere, per cui maggiore è la distanza dal sito incidentato minore sarà l'impatto radioprotezionistico. Naturalmente anche le condizioni meteorologiche hanno una notevole importanza nel trasportare o far cadere al suolo gli elementi radioattivi. In considerazione di ciò, non è corretto affermare che la presenza di centrali nucleari oltreconfine (Francia, Svizzera) determini situazioni analoghe all'avere impianti sul territorio italiano: in genere l'area di maggior controllo in caso di incidente severo è stimata in 50–70 km dal sito, corretta in base alla situazione meteo.
Lo stesso argomento in dettaglio: Scorie radioattive. |
Il problema delle scorie radioattive è probabilmente il più critico per l'industria nucleare a fissione. Il procedimento di fissione nucleare produce materiali residui ad elevata radioattività che rimangono estremamente pericolosi per periodi lunghissimi (fino a tempi dell'ordine del milione di anni). Si tratta di vari elementi radioattivi leggeri (i prodotti di fissione) e di combustibile esaurito (uranio, plutonio ed altri radioelementi attinoidi pesanti) che vengono estratti dal reattore. Questo materiale, emettendo delle radiazioni penetranti, è molto radiotossico e richiede dunque severe precauzioni nel trattamento e nello smaltimento. Ad oggi applicazioni pratiche di soluzioni realmente definitive non sono ancora state realizzate e collaudate dal tempo.
Un altro problema del combustibile nucleare esausto (le scorie radioattive comunemente dette) è che il decadimento radioattivo produce energia attraverso l'emissione di raggi beta (decadimento beta), e per questo è importante raffreddare le barre di combustibile nucleare dopo lo spegnimento di un reattore o quando diventano non più utilizzabili per produrre energia.[53]
Nel caso della fusione nucleare, invece, la produzione di energia avviene senza emissioni di gas nocivi o gas serra, e con la produzione di minime quantità di trizio: un isotopo dell'idrogeno con un tempo di dimezzamento di 12,33 anni la cui radioattività non supera la barriera della pelle umana, e che non è quindi pericoloso per l'uomo se non viene ingerito. In ogni caso, i tempi di dimezzamento della radioattività residua sarebbero confrontabili con la vita media della centrale (decine d'anni).
Lo stesso argomento in dettaglio: Smantellamento degli impianti nucleari. |
Lo smantellamento di una centrale richiede tempi estremamente lunghi e diverse volte superiori al tempo di costruzione e di funzionamento. Ad esempio l'Autorità inglese per il decommissioning ritiene che per il reattore di Calder Hall a Sellafield in Gran Bretagna, chiuso nel 2003, i lavori potranno terminare all'incirca nel 2115[54], cioè circa 160 anni dall'inaugurazione, avvenuta negli anni cinquanta.
Naturalmente deve anche essere trovato un sito atto ad accogliere le scorie ed i materiali provenienti dallo smantellamento.
Lo stesso argomento in dettaglio: Energia nucleare. |
L'energia nucleare è stata proposta al fine di ridurre le emissioni complessive di gas serra e mitigare così l'effetto del riscaldamento globale. Favorevoli ad un utilizzo dell'energia nucleare a tale scopo si sono dichiarati, ad esempio, il chimico James Lovelock[55] ambientalista inventore dell'ipotesi Gaia, il premio Nobel per la fisica Steven Chu a capo del Department of Energy statunitense sotto l'amministrazione Obama[56] e il cofondatore di Greenpeace Patrick Moore.
Il documento The Energy Challenge[57] del Department for Trade and Industry (dipartimento del commercio e dell'industria) del Regno Unito sostiene l'opportunità del potenziamento dell'energia nucleare al fine di raggiungere gli obiettivi relativi alle emissioni di CO2. Nel documento si asserisce peraltro che l'emissione per kilowattora del processo produttivo dell'energia nucleare sia comparabile a quelle dell'energia eolica.
L'Oxford Research Group, un'organizzazione non governativa indipendente con sede nel Regno Unito ha redatto nel 2007 un documento dedicato alla sicurezza dell'energia nucleare e alla sua relazione con il riscaldamento globale dal titolo Secure Energy? Civil Nuclear Power, Security and Global Warming[58], che contiene un esame critico della relazione del DTI. Il documento evidenzia come manchino, ad oggi, indagini e pubblicazioni scientifiche sufficientemente esaustive sulle emissioni del processo di produzione dell'energia nucleare, in cui sono coinvolti anche gas diversi dall'anidride carbonica, ma che potrebbero contribuire in maniera molto più significativa all'effetto serra.
Le emissioni di gas serra sono dovute prevalentemente alla fase di produzione del combustibile nucleare che coinvolge l'estrazione e l'arricchimento dell'uranio e alla costruzione della centrale. La qualità del minerale di uranio estratto e il tempo di vita operativa della centrale risultano essere le due variabili principali nel determinare la quantità di emissioni. Sono stati pubblicati molti studi inerenti alle valutazioni, studi compiuti dalla IAEA, Vattenfall, Japan Central Research Institute of Electric Power Industry, Suitable Development Commission report, World Nuclear Association, Australian Nuclear Association, attribuiscono al nucleare dai 6 ai 26 g/kWh di anidride carbonica, mentre assegnano dai 5,5 ai 48 per l'eolico, dai 53 ai 280 per il fotovoltaico, dai 4 ai 236 per l'energia idroelettrica, dai 439 ai 680 per centrali termiche a ciclo combinato a gas e dai 860 ai 1200 g per le centrali a carbone.[59] Altri documenti invece assegnano valori per il nucleare tra gli 84 e i 122 g/kWh[60] contro i 755 per il carbone, i 385 per il gas e un intervallo tra gli 11 e i 37 per l'energia eolica. Il report dell'Oxford Research Group conclude che le emissioni derivanti da energia nucleare si attestano su valori intermedi tra quelli delle fonti fossili e quelli delle fonti rinnovabili, destinati ad aumentare nei prossimi decenni, e sottolinea la necessità di effettuare revisioni indipendenti sull'argomento.[58]
Lo stesso argomento in dettaglio: Reattore nucleare a fusione. |
Le centrali a fusione nucleare si basano su un principio differente: anziché scindere atomi pesanti mediante bombardamento con neutroni come avviene nella fissione, la fusione implica invece l'unione di due atomi leggeri, generalmente trizio e deuterio, ottenendo dal processo una enorme quantità di energia termica, un nuovo nucleo più grande (quale l'elio) e nucleoni. È lo stesso processo che ha luogo nel Sole e nelle bombe termonucleari (o bombe all'idrogeno, infatti deuterio e trizio sono isotopi dell'idrogeno). Questo tipo di reattori è da anni allo studio di diversi gruppi di scienziati e tecnici, ma apparentemente ancora senza risultati apprezzabili in quanto, pur essendo riusciti ad avviare la reazione di fusione, a oggi non si è in grado di mantenerla stabile per tempi significativi. Attualmente si attende la realizzazione del progetto ITER, un impianto che vorrebbe dimostrare la possibilità di ottenere un bilancio energetico positivo (ma senza produzione di energia elettrica). Un altro progetto è DEMO che prevede la realizzazione di una vera e propria centrale a fusione nucleare. Le stime attuali non prevedono l'utilizzo effettivo di energia da fusione nucleare prima del 2050.
Le centrali a fusione nucleare produrrebbero come principale tipo di scoria l'elio, che è un gas inerte e non radioattivo, inoltre non userebbero sistemi a combustione e quindi non inquinerebbero l'atmosfera: di fatto non avrebbero emissioni di pericolosità rilevante, ad esclusione del trizio. In più dovrebbero essere in grado di generare grandi quantità di energia, superiori rispetto a quelle delle centrali a fissione odierne.[61]
Esistono vari meccanismi di fusione nucleare e il più facile da produrre artificialmente richiede l'utilizzo di due isotopi pesanti dell'idrogeno: deuterio e trizio. Il deuterio rappresenta una minima percentuale, un cinquemillesimo dell'idrogeno in natura[62], e può essere convenientemente ottenuto ad esempio tramite elettrolisi dall'acqua pesante. Il trizio, al contrario, essendo radioattivo ed avendo una vita media molto breve, non è presente sulla Terra; può essere prodotto con reazioni nucleari indotte tramite bombardamento neutronico di isotopi del litio[63]. Inoltre, per le sue caratteristiche affini all'idrogeno che possiede una forte capacità di trafilamento attraverso i contenitori, il trizio non può essere stoccato per lunghi periodi; deve essere prodotto sul momento sfruttando i neutroni prodotti dalle reazioni di fusione oppure da una centrale ausiliaria a fissione.
Si può alimentare una reazione di fusione anche solo con atomi di deuterio, tuttavia il bilancio energetico, meno conveniente della reazione di fusione del trizio, ne rende molto più difficile lo sfruttamento ai fini della produzione di energia.
La fusione richiede temperature di lavoro elevatissime, tanto elevate da non poter essere contenuta in nessun materiale esistente. Il plasma di fusione viene quindi trattenuto grazie all'ausilio di campi magnetici di intensità elevatissima, e le alte temperature vengono raggiunte con vari metodi, come l'iniezione di neutri, radioonde e nella prima fase di riscaldamento con correnti indotte (Effetto Joule). Il tutto rende il processo difficile tecnologicamente, dispendioso e complesso.
Il problema delle scorie derivanti dall'attivazione neutronica di parti degli edifici del reattore, dovrebbe essere ridotto: i tempi di decadimento della radioattività indotta nei suddetti materiali sarebbero comparabili con i tempi di vita delle centrali stesse. E benché le quantità di materiale attivato possano essere considerevoli, il problema del loro stoccaggio potrebbe essere più semplificato rispetto al caso delle centrali a fissione. Comunque sia, i risultati nel campo della ricerca di materiali a bassa attivazione, sono incoraggianti.[61]
Lo stesso argomento in dettaglio: Reattore nucleare a fissione. |
Tutti questi reattori utilizzano generalmente uranio e/o plutonio; sono stati condotti alcuni studi ed avanzate proposte per l'uso del "ciclo del torio" su alcune tipologie di impianti.
Si fa presente che queste distinzioni sono state definite sostanzialmente a posteriori e che il confine fra una e l'altra generazione non è sempre netto ed individuabile. Ad esempio alcune caratteristiche tipiche dei cosiddetti 4ª generazione sono già state sperimentate fin dagli anni quaranta con una accelerazione negli anni settanta, senza tuttavia far decollare la filiera a causa dei problemi riscontrati.
Lo stesso argomento in dettaglio: Reattore nucleare a fusione. |
Questi reattori dovrebbero usare come "combustibile" deuterio e trizio (principi fisici applicati in fase di definizione teorica)
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