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Il cioccolato (o cioccolata, specie se fuso) è un alimento derivato dai semi dell'albero del cacao, ampiamente diffuso e consumato nel mondo intero.
Nella produzione artigianale di qualità, il cioccolato è preparato utilizzando la pasta di cacao come realizzata e imballata nei paesi origine, con l'aggiunta di ingredienti e aromi. Nella produzione industriale o comunque di minor pregio qualitativo, è preparato miscelando il burro di cacao (la parte grassa dei semi di cacao) con polvere di semi di cacao, zucchero e altri ingredienti facoltativi, come il latte, le mandorle, le nocciole, il pistacchio o altri aromi.
Oltre a ciò, il cioccolato è anche un ingrediente di svariati dolciumi, tra cui gelati, torte, biscotti e budini. Alcuni studi sembrano confermare che il consumo frequente di cioccolato possa condurre a una particolare forma di dipendenza detta, per analogia con l'alcolismo, cioccolismo[1]. Altri studi dimostrano come l'assunzione di cioccolato stimoli il rilascio di endorfine, in grado di aumentare il buon umore[2].
Il termine "cioccolata" viene utilizzato come sinonimo di "cioccolato" oppure per indicare una bevanda liquida a base di polvere di semi di cacao, nell'uso occidentale contemporaneo invariabilmente con l'aggiunta di zucchero (al contrario di come veniva consumato il cacao in bevande salate e speziate nelle culture precolombiane).
La pianta Theobroma cacao (nome scientifico del cacao) fu classificata considerando il nome che aveva e l'uso che se ne faceva presso le civiltà che la utilizzavano all'epoca: cacao cibo degli dei.
Note sulla pronuncia |
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Nella lingua nahuatl che parlavano allora gli aztechi, la desinenza "tl" si pronunciava "te" e "ch" traslittera il suono della "c" dolce. L'accento tonico cadeva sempre sulla penultima sillaba. |
I Maya sono i primi a coltivare la pianta del cacao nelle terre tra la penisola dello Yucatán, il Chiapas e la costa pacifica del Guatemala. Per gli Indios i semi sono così preziosi da essere utilizzati come vere e proprie monete. Il cacao ha addirittura significati simbolici e religiosi. Presso i maya il cioccolato veniva chiamato kakaw uhanal, ovvero "cibo degli Dei", e il suo consumo era riservato solo ad alcune classi della popolazione (sovrani, nobili e guerrieri). I maya amavano la bevanda di cacao preparata con acqua calda. Acqua si diceva haa, e caldo si diceva chacau. La bevanda di cacao assumeva il semplice nome di chacauhaa[3]. Sinonimo di chacau era chocol, da cui deriva chocolhaa, sicuramente il primo nome che si avvicina allo spagnolo chocolate.
Cristoforo Colombo è il primo europeo a provare il cacao nel 1502 quando durante il suo quarto viaggio nelle Americhe tocca l'isola di Gunaja, al largo della costa dell'Honduras. Dalle foreste dell'America centrale, il cacao giunge in Europa attorno alla metà del Cinquecento.
Facendo un ulteriore salto, arriviamo alla conquista spagnola della seconda metà del XVI secolo dove si consumava una bevanda per metà di cacao ("cacahuatl") e per metà di "pochotl" che prendeva il nome di chocolatl ("chocol" di radice maya che significa caldo e "atl" di radice azteca che significa acqua, pronuncia "ciocolate"). In ogni caso, perché gli spagnoli per indicare le bevande a base di cacao non accolsero "cacahuate", ma preferirono adottare "chocolatl"? Questo fatto dipenderebbe da quel fenomeno per cui le parole di una certa lingua possono avere suono e significato inaccettabile in altre. Il termine «caca», in spagnolo è un'espressione volgare, connessa con le feci e non poteva essere tollerabile un suono del genere per indicare una bevanda consumata prevalentemente dall'aristocrazia e dalla nobiltà reale, soprattutto se riferita a una bevanda densa, marrone scuro e originariamente amara.
La pianta del cacao ha origini antichissime e, secondo precise ricerche botaniche si presume che fosse presente più di 6.000 anni fa nel Rio delle Amazzoni e nell'Orinoco. I primi agricoltori che cominciarono la coltivazione della pianta del cacao furono i Maya solo intorno al 1000 a.C. Le terre che si estendono fra la penisola dello Yucatàn, il Chiapas e la costa pacifica del Guatemala furono quindi le prime a vedere l'inizio della storia del cacao, e insieme a questo del cioccolato.
La leggenda dice che la coltura del cacao fu sviluppata dal terzo re Maya: Hunahpu. Un'altra leggenda, questa volta azteca, dice che in tempi remoti una principessa fu lasciata, dal suo sposo partito in guerra, a guardia di un immenso tesoro; quando arrivarono i nemici la principessa si rifiutò di rivelare il nascondiglio di tale tesoro e fu per questo uccisa; dal suo sangue nacque la pianta del cacao, i cui semi sono così amari come la sofferenza, ma allo stesso tempo forti ed eccitanti come le virtù di quella ragazza.
Tornando alla storia, successivamente ai Maya anche gli aztechi cominciarono la coltura del cacao, e in seguito la produzione di cioccolata; associavano il cioccolato a Xochiquetzal, la dea della fertilità. Con valore mistico e religioso, il cacao veniva consumato dall'élite durante le cerimonie importanti[5], offerto insieme con l'incenso come sacrificio alle divinità e a volte mischiato al sangue degli stessi sacerdoti. A conferma di ciò, sono stati trovati diversi esempi di raffigurazione della pianta del cacao su alcuni vasi e codici miniati Maya.
Oltre a un impiego liturgico e cerimoniale, nelle Americhe il cioccolato veniva consumato come bevanda, chiamata xocoatl, spesso aromatizzata con vaniglia, peperoncino e pepe. Tale bevanda era ottenuta a caldo o a freddo con l'aggiunta di acqua e eventuali altri componenti addensanti o nutrienti, come farine e minerali. Altri modi di preparazione combinavano il cioccolato con la farina di mais e il miele[5]. La sua caratteristica principale era la schiuma, che veniva anticamente ottenuta mediante travasi ripetuti dall'alto da un recipiente a un altro.
Con la Conquista spagnola, si impone l'uso del molinillo, che ruotato velocemente avanti e indietro tra le mani consentiva di ottenere in tempi più brevi la densa schiuma tanto amata dai consumatori della bevanda[5]. Non si può non notare, per inciso, la singolare coincidenza del procedimento di preparazione della bevanda di cacao e acqua per travaso, con l'uso africano di preparare il tè (tre cicli successivi di preparazione, ciascuno dei quali si ottiene per bollitura delle foglie di tè, travasi ripetuti dall'alto fino al montare della schiuma - peraltro ovviamente meno consistente di quella del cacao - e consumo).
Lo xocoatl aveva l'effetto di alleviare la sensazione di fatica, effetto probabilmente dovuto alla teobromina in esso contenuta. Esso era un articolo di lusso in tutta l'America centrale pre-colombiana; i semi di cacao erano usati come moneta di scambio, di conto e anche come unità di misura: nel tesoro dell'imperatore Motecuhzoma (più noto con il nome storpiato di Montezuma) se ne poterono trovare quasi un miliardo. Si diceva che lo xocoatl avesse un sapore squisito. José de Acosta, un missionario gesuita spagnolo che visse in Perù e poi in Messico nel tardo XVI secolo scrisse:
Nel 1502 avvenne il contatto del cacao con la civiltà europea: Cristoforo Colombo durante il suo quarto e ultimo viaggio in America sbarca in Honduras dove ha l'occasione di assaggiare una bevanda a base di cacao; al ritorno, portò con sé alcuni semi di cacao da mostrare a Ferdinando e Isabella di Spagna, ma non diede alcuna importanza alla scoperta, probabilmente non particolarmente colpito dal gusto amaro della bevanda.
Solo con Hernàn Cortéz si ha l'introduzione del cacao in Europa in maniera più diffusa, era il 1519. Arriva nel Nuovo Mondo dalla Spagna e la popolazione locale lo scambia per il dio Quetzalcoàtl, che secondo la leggenda sarebbe dovuto tornare proprio in quell'anno. L'imperatore Montezuma, allora, lo accoglie a braccia aperte e gli offre un'intera piantagione di cacao con i relativi proventi. Nel 1528 Cortéz porta in Spagna alcuni semi di cacao, recandoli in dono a Carlo V[6][7].
Il primo carico documentato di cioccolato verso l'Europa a scopo commerciale viaggiò su una nave da Veracruz a Siviglia nel 1585 (a Siviglia aveva sede il Reale Consiglio delle Indie, attraverso cui la corona spagnola controllava tutti i traffici commerciali, l'amministrazione, gli aspetti militari e religiosi delle proprie colonie d'oltreoceano. Tutti i movimenti materiali avvenivano attraverso il porto di Cadice). Il cioccolato veniva sempre servito come bevanda, ma gli europei, e in particolar modo gli ordini monastici spagnoli, depositari di una lunga tradizione di miscele e infusi, ci aggiunsero la vaniglia e lo zucchero per correggerne la naturale amarezza e tolsero il pepe e il peperoncino[5].
Pare che sia stato il vescovo Francisco Juan de Zumàrraga nel 1590 ad aggiungere lo zucchero alla ricetta della bevanda.[senza fonte] Un'opera del 1591 di Juan Cardenas è fra le prime a citare la controversia. Per tutto il Cinquecento il cioccolato rimane un'esclusiva della Spagna, che ne incrementa le coltivazioni. La tradizionale lavorazione per la produzione delle tavole di cioccolato solide, anch'esse di origine azteca, viene importata nella Contea di Modica, allora protettorato spagnolo. Tale lavorazione dà origine allo xocoàtl, un prodotto che gli abitanti del Messico ricavavano dai semi di cacao triturati su una pietra chiamata metate, prodotto che ormai si produce nella sola Modica in Sicilia[8][9][10].
A cavallo fra il Cinquecento e il Seicento il cacao fu probabilmente importato in Italia, e precisamente in Piemonte, da Caterina, figlia di Filippo II di Spagna, che sposò nel 1585 Carlo Emanuele I, duca di Savoia[7]. Nel Seicento il cacao arriva in Toscana per merito del commerciante di Firenze Francesco d'Antonio Carletti[7].
Nel 1606 il cioccolato veniva prodotto in Italia nelle città di Firenze, Venezia e Torino[6]. Le tracce dell'antico legame fra Firenze e la cioccolata si ritrovano in alcuni fondi librari della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (Magliabechiano e Palatino), dove si rintracciano numerosi scritti che testimoniano a partire dal 1600 un acceso dibattito sul cioccolatte e sui suoi consumi (Francesco Redi, Lorenzo Magalotti, Francesco D'Antonio Carletti). Sempre a Firenze, dal 1680, si rintracciano numerosi scritti sul tema della cioccolata. Nel 1680 esce Differenza tra il cibo e 'l cioccolatte… (a cura di Giovan Battista Gudenfridi), cui seguono nel 1728: Parere intorno all'uso della cioccolata (Giovan Battista Felici), Lettera in cui si esaminano le ragioni addotte dall'Autore del primo parere intorno all'uso della cioccolata (Lorenzo Serafini), Lezione accademica in lode della cioccolata (Giuseppe Avanzini) e Altro parere intorno alla natura, ed all'uso della Cioccolata disteso in forma di lettera… (Francesco Zeti).
Nel 1615 Anna d'Austria, sposa di Luigi XIII, introdusse il cioccolato in Francia[5][11]. Tra il 1659 e il 1688 l'unico cioccolataio presente a Parigi fu David Chaillou[7]. Nel 1650 il cioccolato viene commercializzato anche in Inghilterra: a Oxford si inizia a servire il cioccolato negli stessi locali in cui si serviva il caffè[7]. Nel XVII secolo divenne un lusso diffuso tra i nobili d'Europa e gli olandesi, abili navigatori, ne strapparono agli spagnoli il controllo mondiale e il predominio commerciale.
Nella Venezia del Settecento nascevano le prime "botteghe del caffè" (o coffee house), antesignani dei nostri bar; esse erano, certamente, anche "botteghe della cioccolata" e facevano a gara per modificare la ricetta esistente inventando nuove versioni[5][12]. Nel 1760 la Gazzetta Veneta documenta l'ormai enorme diffusione del prodotto. Fino a tutto il XVIII secolo il cioccolato viene considerato la panacea di tutti i mali, e gli si attribuiscono virtù miracolose.
Il Brasile, il Venezuela, la Martinica e le Filippine aumentano in modo spropositato la coltivazione di cacao; contemporaneamente molte città europee si pregiano della fama per la lavorazione del cioccolato; un esempio fra tutti è Torino, che ha una produzione di ben 350 kg al giorno, esportato in maggior parte in Austria, Svizzera, Germania e Francia, dove poco alla volta la preparazione di bevande al cioccolato diventa una passione per molti. Alla fine del XVIII secolo il primo cioccolatino da salotto, come lo conosciamo oggi, fu inventato a Torino da Doret: la tradizione del cioccolato nel 1800 era talmente radicata a Torino e in Piemonte che gran parte dei cioccolatai attivi in Italia, come Gay-Odin a Napoli e la Bottega del cioccolato a Roma erano originari di questa regione.
Nel 1802 Bozzelli inventò una macchina per raffinare la pasta di cacao e miscelarla con zucchero e vaniglia[6][13]. In realtà bisogna aspettare il 1820 perché il sistema fosse messo a punto, e la prima tavoletta di cioccolata di tipo commerciale fu prodotta in Inghilterra. Nel 1826, sempre a Torino, Pierre Paul Caffarel cominciò la produzione di cioccolato in grandi quantità grazie a una nuova macchina capace di produrre oltre 300 kg di cioccolato al giorno. Nel 1828 l'olandese Conrad J. van Houten brevettò un metodo per estrarre il grasso dai semi di cacao trasformandoli in cacao in polvere e burro di cacao[5][6].
Sviluppò inoltre il cosiddetto processo olandese, che consiste nel trattare il cacao con alcali per rimuoverne il gusto amaro[14] Questi trattamenti resero possibile il produrre il cioccolato in barrette. Il primo cioccolato in forma solida in scala più estesa rispetto a quello di Doret sembra essere stato prodotto nel 1847 da Joseph Fry. Nel 1852 a Torino Michele Prochet comincia a miscelare cacao con nocciole tritate e tostate creando la pasta Gianduia che verrà poi prodotta sotto forma di gianduiotti incartati individualmente.[15].
Daniel Peter, un fabbricante di candele svizzero, si unì al suocero (François-Louis Cailler, inventore della tavoletta di cioccolato) nella produzione del cioccolato. Nel 1867 cominciarono a includere il latte tra gli ingredienti e presentarono sul mercato il cioccolato al latte nel 1875. Per rimuovere l'acqua contenuta nel latte, consentendone una più lunga conservazione, fu assistito da un vicino, un fabbricante di alimenti per l'infanzia di nome Henri Nestlé.
Nel 1879 Rudolph Lindt infine inventò il processo chiamato concaggio (conching), che consiste nel mantenere a lungo rimescolato il cioccolato fuso per assicurarsi che la miscelazione sia omogenea[16]. Il cioccolato prodotto con questo metodo è il cosiddetto "cioccolato fondente".[6]. Il cacao è stato anche motivo di una continua lotta finanziaria tra i grandi esportatori (Africa e Brasile) e i mercati d'acquisto (Europa e USA).
L'iniziale artificioso rialzo dei prezzi provocò una forma di boicottaggio commerciale, soppresso dalle necessità della seconda guerra mondiale. Terminata la guerra, vi fu una diminuzione del prodotto, determinato da malattie e dall'invecchiamento delle piantagioni, sintomo di una non oculata gestione delle stesse. Il valore commerciale della produzione americana (soprattutto Messico e Guatemala) è superiore a quello della produzione africana o di altri paesi. In Italia, la regione di Torino produce il 40% della produzione italiana per un volume di 85.000 tonnellate annuali.
Hanno avuto una passione per il cioccolato innumerevoli personaggi storici, tra loro re, imperatori, musicisti, scrittori e papi.
La preparazione del cioccolato avviene seguendo il seguente schema[19]:
Il processo di preparazione del cioccolato ha inizio con la "miscelazione" (blending o mélangeur)[20]. Partendo dall'ingrediente base della pasta di cacao, ottenuta dalla lavorazione dei semi del cacao, vengono aggiunti gli altri ingredienti necessari, più precisamente[21]:
In alcuni paesi la legge consente di tagliare il burro di cacao con altri grassi vegetali. Spesso viene aggiunta anche la lecitina di soia, che agisce come agente emulsionante favorendo una maggiore omogeneizzazione degli ingredienti. Diversi produttori introducono variazioni personalizzate alle proporzioni delle ricette base, come una sorta di "marchio di fabbrica".
Il cioccolato fondente più pregiato arriva a contenere non meno del 70% di cacao (sia polvere sia burro). L'impasto viene poi passato dalle raffinatrici, che sono delle macchine laminatrici (tipiche fra queste quelle funzionanti a 5 cilindri). Il passaggio attraverso le macchine raffinatrici è detto in inglese refining o fine grinding[20].
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Il successivo stadio prende il nome di "concaggio" (conchage o conching)[22]. Consiste nel mescolare per tempi molto lunghi la miscela di ingredienti in apposite impastatrici dette conche aggiungendo eventualmente dell'altro burro di cacao[23]. Ciò deve avvenire a temperatura controllata appena sufficiente a mantenere la miscela liquida avendo cura di rompere i grumi dei vari ingredienti fino a portarli a dimensioni inavvertibili dalla lingua e a farne una massa perfettamente liscia e omogenea.
I cioccolati più pregiati vengono trattati in questo modo per non meno di una settimana. Terminata questa fase, il cioccolato viene mantenuto fuso in serbatoi a 45-50 °C. Il concaggio serve, fra le altre cose, anche a ossidare i tannini. Tale tipo di lavorazione fu inventato, nel 1880, da Rodolphe Lindt. D'altra parte vi sono dei famosi cioccolati non concati, volutamente, e questa è una loro caratteristica.
La fase successiva al concaggio è la "tempra" (tempering)[24].
Dato che il burro di cacao tende a cristallizzare in modo polimorfo e irregolare, la massa di cioccolato fuso deve venire raffreddata cautamente in modo da portare alla cristallizzazione desiderata, che produce un cioccolato che si spezza ma che allo stesso tempo si scioglie morbidamente[23]. Per ottenerla la massa di cioccolato viene raffreddata gradualmente da 45 °C a 27 °C quindi riscaldata a 31 °C (±1 °C) per il cioccolato fondente, e 29 °C per quello al latte e successivamente raffreddata fino allo stato solido.
Dopo la tempra il cioccolato viene sottoposto alla "formatura" (molding)[25]: viene versato in stampi che sono posti in leggera vibrazione per eliminare le bolle di aria imprigionate all'interno. Una volta raffreddato, il cioccolato assumerà la forma degli stampi ed è pronto al "confezionamento" (packaging)[23][26].
Di seguito vengono riportate le definizioni adottate nell'Unione europea:
La tabella seguente riporta i valori nutrizionali corrispondenti a 100 grammi di cioccolato:
Valori nutrizionali (per 100 g di prodotto)[27] | |||
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Tipo | Cioccolato fondente | Cioccolato al latte | Cioccolato bianco |
Proteine (g) | 3,2 | 7,6 | 7,5 |
Lipidi (g) | 33,4 | 32,3 | 37 |
Carboidrati (g) | 60,3 | 57 | 52 |
Lecitina pura (g) | 0,3 | 0,3 | 0,3 |
Teobromina (g) | 0,6 | 0,2 | -- |
Calcio (mg) | 20 | 220 | 250 |
Magnesio (mg) | 80 | 50 | 30 |
Fosforo (mg) | 130 | 210 | 200 |
Ferro (mg) | 2 | 0,8 | tracce |
Rame (mg) | 0,7 | 0,4 | tracce |
Vitamina A (IU) | 40 | 300 | 220 |
Vitamina B1 (mg) | 0,06 | 0,1 | 0,1 |
Vitamina B2 (mg) | 0,06 | 0,3 | 0,4 |
Vitamina C (mg) | 1,14 | 3 | 3 |
Vitamina D (IU) | 50 | 70 | 15 |
Vitamina E (mg) | 2,4 | 1,2 | tracce |
Valore energetico (kJ)[28] | 2.080 | 2.160 | 2.260 |
Valore energetico (kcal) | 495,2 | 514,2 | 538 |
Come il cacao così il cioccolato, suo derivato, è un prodotto blandamente psicoattivo[29] per via del suo contenuto di teobromina, di feniletilamina, di piccole quantità di anandamide (un cannabinoide endogeno del cervello), caffeina e triptofano. La quantità di caffeina contenuta nel cioccolato non è considerata significativa, a meno che non venga espressamente aggiunta durante la lavorazione.
Uno studio del 2003 promosso dall'Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN) di Roma, sostiene che il cioccolato fa bene al cuore. I risultati hanno rivelato che il fondente aumenta del 20% le concentrazioni di antiossidanti nel sangue, mentre quello al latte non ha alcun effetto; addirittura il fondente perde ogni effetto se accompagnato a un bicchiere di latte. Secondo i ricercatori il latte farebbe diminuire gli effetti positivi e cardioprotettivi in quanto cattura le epicatechine, flavonoidi presenti nel cacao che possiedono un elevato potere antiossidante[30][31][32].
Il cacao è l'alimento più ricco di teobromina, isomero della teofillina, che è un potente inibitore della fosfodiesterasi, come alcuni farmaci (enoximone, milrinone) usati in caso di insufficienza cardiaca acuta, sotto controllo medico perché su questi pazienti hanno una frequenza di aritmie cardiache.
Secondo Roberto Corti dell'Università di Zurigo il cioccolato fondente può ritardare l'indurimento delle arterie in coloro che fumano, limitando il rischio di malattie cardiache anche gravi. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista "Heart"[30].
Sono segnalate reazioni allergiche: allergia alimentare alla fenilalanina contenuta nel cioccolato. Invece, in uno studio tedesco pubblicato dalla rivista dell'associazione americana dei medici, si sostiene che il cioccolato fondente avrebbe anche la capacità di ridurre la pressione del sangue, in particolare la pressione sistolica o "massima", per effetto dei polifenoli della cioccolata fondente, antiossidanti che sono alla base degli stessi effetti positivi sul cuore che ha il vino rosso, di cui il cioccolato conterrebbe una maggiore quantità[33].
Taluni studi correlano la feniletilammina contenuta nel cioccolato con la diminuzione del fenomeno della depressione[34][35][36].
Da quanto viene asserito da altri studi, inoltre, il cioccolato avrebbe un'influenza positiva sull'umore degli esseri umani e aumenta il desiderio sessuale[35], proprio come sosteneva Giacomo Casanova[37].
Gli studi normalmente considerano una quantità di cioccolato fondente dai 20 ai 50 g/die, pari a circa 230 kcal, dose consigliabile oltre cui non sono rilevati ulteriori benefici.
Lo stesso argomento in dettaglio: Avvelenamento da cioccolato. |
La teobromina contenuta nel cioccolato è tossica per i cani, i cavalli e altri piccoli animali che sono incapaci di metabolizzarla[40].
In piccole quantità riesce a essere un potente stimolante per i cavalli, al punto da essere bandito dalle corse in quanto sostanza illegale[41].
Se un animale mangia del cioccolato in quantità consistente, la teobromina può permanere nel suo sangue fino a 20 ore, provocandogli disturbi che possono andare dalle convulsioni all'attacco cardiaco, all'emorragia interna fino - nei casi peggiori - alla morte. Il primo trattamento, da eseguirsi entro due ore dall'ingestione, consiste nel provocare il vomito. È quindi necessario interpellare un veterinario[42][43][44].
La DL50, ossia la dose letale per il 50% del campione, della teobromina per i cani è 330 milligrammi per chilogrammo di peso corporeo, un dato simile a quello della caffeina per gli esseri umani. Un cane di circa 20 kg di peso soffrirà qualche disturbo intestinale dopo aver mangiato circa 250 g di cioccolato al latte, bradicardia o aritmia cardiaca se ne mangia mezzo chilo. Cinque chili di cioccolato hanno il 50% di probabilità di ucciderlo. Col cioccolato fondente le dosi letali sono inferiori, essendo questo più ricco di cacao.
Il cioccolato viene utilizzato nella preparazione di tantissimi prodotti dolciari, tra cui:
L'industria svizzera del cioccolato (localizzata principalmente nella Svizzera romanda) detiene record sia in termini di fatturato (1.690 milioni di franchi nel 2011)[46] sia in termini di volume di produzione (176'332 tonnellate di cioccolata prodotte nel 2011) e di esportazione (il 60,7% della produzione)[46]. Il Paese vanta inoltre il più alto consumo di cioccolato procapite al mondo (12,3 chilogrammi)[47]. Dalla fine del Seicento a livello artigianale, la produzione di cioccolato su scala industriale cominciò nella prima metà dell'Ottocento: François-Louis Cailler (1819, inventore della "tavoletta"), Daniel Peter (1875, inventore del cioccolato al latte), Henri Nestlé (1866), Philippe Suchard (1826), Jean Tobler (1867, creatore del Toblerone) e Rodolphe Lindt (1879, inventore del cioccolato fondente)[48].
Nella prima metà dell'Ottocento nelle città del Regno ebbe inizio la produzione delle praline: piccoli cioccolatini ripieni di liquore, marzapane o cioccolato fondente[49].
Il cioccolato di Modica ha origini antichissime, furono gli spagnoli che, per opera di Hernán Cortés intorno al 1519, importarono i primi chicchi di cacao avendone appreso le qualità eccellenti e le potenzialità economiche, e ne instaurarono successivamente un vero e proprio commercio intorno al 1580. Facendo diversi usi e avendone appreso la lavorazione, fu durante la loro dominazione in Sicilia nel XVI secolo, che gli spagnoli la introdussero nella “Contea di Modica” - la Contea più grande del Regno di Sicilia, tale da nominarsi anche come “Il Regno nel Regno” sia per l'estensione del suo territorio (si estendeva, di fatto alle porte di Palermo) sia per le ricchezze economiche, le risorse del territorio, la magnifica arte barocca nonché le tradizioni dolciarie radicate in essa. Contrariamente a quanto avvenne in seguito nel Regno d'Italia e in tutta l'Europa, nella Contea di Modica non si passò mai alla lavorazione industriale del cioccolato, conservandone così l'artigianalità della sua manifattura. Il “Cioccolato di Modica” si presenta di colore nero scuro con riflessi bruni; rustico, quasi grezzo, con granuli di zucchero lasciati grossolani che gli conferiscono, oltre alla particolarità nel gusto, una brillantezza di riflessi quasi come “pietra marmorea”; il suo gusto di cacao è tondo, vellutato e persistente. La sua lavorazione, che avviene quasi a freddo (al massimo a 35 / 40 °C), permette di mantenere inalterate le sue caratteristiche organolettiche. Tutto ciò lo differenza dagli altri tipi di cioccolato, rendendolo originale e quindi unico nel suo genere.
Torino è dal 1600 una delle capitali italiane e forse europee del cioccolato: qui sono stati inventati il cioccolato con le nocciole Prochet e la macchina per trattare industrialmente il cioccolato Caffarel. All'industria Talmone si deve la prima rete di commercializzazione nazionale di cioccolato.
Spesso il cioccolato viene usato per fare dei regali durante le feste. Il giorno di San Valentino, ad esempio, è tradizione regalare cioccolatini al proprio partner o ai propri amici. Anche a Natale molto spesso viene regalato del cioccolato e, soprattutto, durante la Pasqua, festa in cui si regalano uova di cioccolato (solitamente a bambini).
Il cioccolato è stato il soggetto di diversi libri e film. Nel 1964, Roald Dahl pubblica una storia per bambini intitolata La fabbrica di cioccolato da cui vengono in seguito prodotti due film: Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato di Mel Stuart (1971) e La fabbrica di cioccolato di Tim Burton (2005), molto apprezzato dalla critica[50] e dal pubblico[51].
Del 1999 è il libro di Joanne Harris, Chocolat, da cui nel 2000 viene tratto l'omonimo Chocolat di Lasse Hallström[52].
Altri film dedicati al cioccolato sono:
Ogni anno sono molte le fiere dedicate al cacao e al cioccolato in ogni parte del mondo; in Italia tra le più frequentate si possono ricordare: la Fiera del Cioccolato di Firenze (Piazza Santa Croce), il Cioccoshow di Bologna in Piazza Maggiore, il CioccolaTò di Torino, la manifestazione itinerante Altrocioccolato[53] (Perugia 2001-2003, Gubbio 2004-2009, Castiglione del Lago 2010-2012, Città di Castello 2013-2015) dedicata al gusto e al consumo consapevole del cioccolato, l'Eurochocolate di Perugia (anche il capoluogo di provincia organizza una manifestazione dedicata al cioccolato) e il Choccobarocco di Modica (famosa per il cioccolato modicano, la cittadina organizza una manifestazione, originariamente legata all'Eurochocolate, poi divenuta indipendente). Infine, vi sono la meno famosa Fiera del Cioccolato di Cervia (Ravenna) e la Showcolate di Napoli, presso la Mostra d'Oltremare.
Nel 2007 a Timbuktu è stato sperimentato il biodiesel ricavato dal cioccolato[54].
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