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Il grafene è un materiale costituito da uno strato monoatomico di atomi di carbonio (avente cioè uno spessore equivalente alle dimensioni di un solo atomo). Ha la resistenza meccanica del diamante e la flessibilità della plastica[1]. Il grafene, è in realtà la condizione particolare planare già descritta per i Fullereni.
Come suggerisce la desinenza -ene del nome, gli atomi sono ibridati nella forma sp², e si dispongono quindi a formare esagoni con angoli di 120°. In presenza di imperfezioni (pentagoni o ettagoni invece degli esagoni), la struttura si deforma: con 12 pentagoni si ha un fullerene. La presenza di singoli pentagoni o ettagoni provoca invece increspature della superficie.
Le scoperte sul grafene e le sue applicazioni (realizzazione di un transistor) conseguite nel 2004[2] sono valse il premio Nobel per la fisica 2010 ai due fisici Andrej Gejm e Konstantin Novoselov dell'Università di Manchester. Nonostante i problemi iniziali nell'applicabilità del grafene a singolo strato, i due fisici hanno evoluto il materiale fino alla costruzione del cosiddetto grafene a doppio strato, che garantisce più resistenza e flessibilità di utilizzo.[3]
Uno strato ideale di grafene consiste esclusivamente di celle esagonali; strutture pentagonali o ettagonali sono difetti. In particolare, in presenza di una cella pentagonale isolata, lo strato planare di grafene si deforma fino ad assumere una forma conica; se invece le strutture pentagonali sono 12 si ha un fullerene. Allo stesso modo la presenza di una cella isolata ettagonale causa una deformazione che trasforma la struttura planare in una sella, e l'inserimento controllato di celle pentagonali o ettagonali permette la realizzazione di strutture molto complesse. Nanotubi di carbonio a singola parete possono essere considerati cilindri di grafene; talvolta alle estremità di questi nanotubi si trovano strutture emisferiche costituite da fogli di grafene contenenti 6 strutture pentagonali, che fungono da "tappo".
La definizione ufficiale del grafene data dalla IUPAC è:
L'esfoliazione meccanica della grafite consiste nell'applicazione di una forza alla superficie di cristalli di grafite altamente orientata per staccare e dispiegarne gli strati cristallini fino ad ottenere il singolo strato. I primi tentativi si effettuarono già nel 1998, quando l'interazione di punte per analisi AFM (microscopio a forza atomica) e STM (microscopio a effetto tunnel) con la superficie della grafite fu sfruttata per fornire un'energia sufficiente a superare le forze di attrazione inter-piano e portare alla rimozione e isolamento dello strato monoatomico cristallino. In seguito il gruppo di André Geim ha sviluppato un metodo molto semplice, universalmente noto come metodo scotch-tape, che usa semplice nastro adesivo per esfoliare la grafite. La tecnica consiste nel porre la superficie di un cristallo di grafite sul nastro adesivo, staccare il nastro e pelare così alcuni strati di materiale. Il nastro con l'impronta della grafite è quindi ripiegato su se stesso e svolto diverse volte. Ogni volta, i fiocchi deposti si dividono in strati sempre più sottili. Alla fine del processo, i sottili fiocchi adesi possono essere trasferiti in maniera semplice ad un substrato isolante. L'esfoliazione meccanica è il metodo più semplice ed accessibile per isolare fiocchi di grafene della dimensione di alcuni micron quadri, utili per la ricerca di base sulle sue proprietà. Purtroppo questo metodo non è adatto per una produzione industriale.
Il metodo si basa sull'utilizzo delle forze di pressione che si generano all'interno di un liquido. Grafite in polvere è mescolata ad un solvente dotato delle opportune qualità fisiche come viscosità, tensione superficiale, etc... (tipicamente 1-metil-2-pirrolidone) o in una miscela di acqua e surfattante. La sospensione è quindi sottoposta a miscelazione attraverso onde ultrasoniche, o mixer ad alta forza di taglio, o mulino a biglie ecc. Tali processi creano all'interno del liquido sia forze di taglio che cavitazione che causano la rottura dei cristalli di grafite secondo il piano basale, riducendoli a fogli sempre più sottili e, idealmente, singoli fogli di grafene. La sospensione risultante dal processo è poi purificata con ultracentrifugazione. Tale metodo risulta uno dei più promettenti dal punto di vista della scalabilità, e permette di ottenere grandi quantità di ottimo grafene. Per contro, i fiocchi risultano piuttosto piccoli come dimensioni laterali.
Finora gli sforzi sono stati diretti soprattutto verso l'esfoliazione dell'ossido di grafite (GO), un materiale avente la stessa struttura lamellare della grafite nel quale però alcuni atomi di carbonio presentano legami con ossigeno sotto forma di ossidrili (-OH) o di carbonili (C=O) o più raramente di carbossili, ed in cui la distanza tra gli strati di grafene aumenta a causa dell'ingombro dell'ossigeno. La sua natura fortemente idrofilica consente di ottenere, con l'utilizzo di onde acustiche ultrasoniche, l'intercalazione (ovvero l'inclusione reversibile di molecole all'interno di altre molecole o gruppi) di molecole d'acqua e, conseguentemente, una pressoché completa esfoliazione (~90%) del materiale in strati monoatomici di GO. Il grafene ossido è però un materiale isolante in cui i legami con l'ossigeno devono essere scissi ed il carbonio ridotto per poter avere le stesse proprietà del grafene. Sono stati sperimentati con successo sia metodi di riduzione di tipo chimico (mediante idrazina N2H4, idrochinone, sodio boro idruro o anche vitamina C) che metodi termici o UV che hanno prodotto materiali con conducibilità nell'ordine dei 102 S cm-1.
Il grafene si ricava in laboratorio dalla grafite. I cristalli di grafite sono trattati con una soluzione fortemente acida a base di acido solforico e nitrico e poi ossidati ed esfoliati fino a ottenere cerchi di grafene con gruppi carbossilici ai bordi. Mediante trattamento con cloruro di tionile (SOCl2), queste molecole periferiche sono trasformate in cloruri acilici (alogenuri acilici composti da un acile e un atomo di cloro) e poi in ammidi. Il risultato è un cerchio di grafene solubile in tetraidrofurano, tetraclorometano e dicloroetano.
Il grafene ha una struttura composta da celle esagonali.
Il grafene è un ottimo conduttore, e si pensa che sarà presto utilizzato in molti oggetti tecnologici.
Un singolo strato di grafene, pur essendo spesso un solo atomo, è in grado di assorbire il 2.3% della radiazione uniformemente su pressoché tutto lo spettro ottico. Per confronto, un film di silicio con lo stesso spessore assorbirebbe solo lo 0.03% della luce.[5]
Il grafene è un ottimo conduttore termico anche se il carbonio, essendo un non metallo, di per se non conduce il calore. Il grafene acquista questa proprietà per le interazioni realizzate nella macromolecola, come accade per la grafite, forma allotropica del carbonio, che riesce a condurre l'energia termica e che, sfogliata in strati omogenei connessi monoatomici, dà appunto il grafene.
Il grafene, come conduttore, è oggetto di intensi programmi di studio per utilizzarlo nei sistemi a semiconduttori. Nel 2010 un gruppo della IBM ha realizzato un transistor al grafene con una frequenza di funzionamento massima di 100 GHz e lunghezza del gate di 240 nm; Nel 2011, l'IBM ha realizzato un transistor dello stesso materiale con una frequenza di 155 GHz[6] e lunghezza del gate di 40 nm. Nel 2010, all'UCLA, un altro test con il grafene ha toccato il record di velocità di un transistor raggiungendo i 300 GHz. Analoghi transistor all'arseniuro di gallio hanno una frequenza massima di 40 GHz.[7] Una delle principali applicazioni dei materiali in grafene, già disponibili a livello industriale, riguarda i nanocompositi polimerici, ottenuti incorporando grafene (come nano-carica) nella matrice polimerica di base.[8]
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Il grafene è capace di immagazzinare idrogeno: se deformato, forma delle "creste", e l'idrogeno tende a accumularsi sulle punte di tali creste. Per rilasciare il gas è necessario eliminare la deformazione del grafene, in modo che l'idrogeno sia espulso dalle creste. Tali risultati sono frutto del lungo lavoro messo in atto dall'Adanascelo team nell'isola di Hokkaido, in Giappone.
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Alcuni ricercatori della Columbia Engineering hanno realizzato una lampadina miniaturizzata, capace di emettere luce grazie a un filamento incandescente di grafene, analogamente a quanto avviene nelle comuni lampadine con filamento di tungsteno. Per ottenere questo risultato gli scienziati hanno applicato dei piccoli elettrodi metallici su strisce di grafene invisibili ad occhio nudo. Quando nel circuito passa corrente elettrica, il grafene si riscalda fino a 2500 °C emettendo luce visibile. La scoperta è stata pubblicata sulla rivista Nature Nanotechnology nel 2015.
Un esperimento di osmosi inversa è stato condotto negli Stati Uniti dai ricercatori del Massachusetts Institute of Technology. "La struttura molecolare peculiare del grafene consente di creare fori di qualsiasi dimensione sulla sua superficie. Questo ha permesso di far passare l'acqua da una parte e i sali dall'altra dello strato", esattamente come accade in una comune osmosi inversa a membrane.
Il grafene è stato applicato per la prima volta nel tennis nel 2012 con la creazione di una racchetta nella quale fu aggiunto un innesto in grafene al cuore della racchetta, per rendere tale zona più leggera e dinamica e potendo così aggiungere peso al manico e in testa alla racchetta.
Nel gennaio 2013 il progetto Graphene[9] (insieme al progetto Human Brain Project) è stato selezionato dalla Commissione europea tra i FET Flagships, i progetti faro di ricerca e sviluppo promossi dall'Unione europea[10]: scelti da una rosa di sei candidati[11], i due progetti beneficeranno di un sostegno finanziario di 1 miliardo di euro lungo dieci anni.
La tossicità del grafene è stata discussa ampiamente nella letteratura scientifica. La raccolta più ampia circa la tossicità del grafene riepiloga gli effetti in vitro, in vivo, antimicrobici e ambientali di questa sostanza ed evidenzia i vari meccanismi della tossicità del grafene stesso, che dipende da fattori come forma, dimensione, purezza della sostanza, fasi lavorative della post-produzione, stato ossidativo, gruppi funzionali, stato di dispersione, metodi di sintesi, dose di somministrazione e tempi di esposizione. [12]
I nanonastri, le nanopiastrine e le nano-cipolle di grafene non sono tossiche fino alla concentrazione di 50 µg/ml. Queste nanoparticelle non alterano la differenziazione delle cellule staminali del midollo osseo in osteroblasti o adipociti, suggerendo che a basse dosi le nanoparticelle di grafene sono sicure per eventuali applicazioni biomediche. Dei cristalli di grafene multistrati dello spessore di 10 µm sono stati capaci di perforare le membrane cellulari in soluzione: una ricerca della Brown University descrive la potenziale tossicità del grafene: intaccherebbe e danneggerebbe le cellule umane per via della sua natura bidimensionale, soprattutto quando finemente frammentata, come è anche stato segnalato per i fullereni.[13]. Gli effetti fisologici del grafene rimangono incerti, e questo rimane un campo inesplorato.
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