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Con la denominazione Acciaio Damasco si intendono due prodotti di siderurgia ben distinti:
Il nome "Damasco" ha due possibili origini. La prima dalla città siriana di Damasco, la seconda invece nega la connessione etimologica con la città e si rifà invece alla parola araba damas che significa acquoso, in riferimento ad alcune strutture ricordanti una superficie acquosa che si formavano sulla superficie dell'acciaio.
Il damasco saldato è antichissimo ed è la prima tecnica di siderurgia usata dall'uomo.
Dai forni estrattivi primitivi si otteneva un ammasso di ferro-acciaio disomogeneo e pieno di scorie di fusione e carboniose. L'unico modo per utilizzare questo prodotto era quello di forgiarlo, allungandolo e ripiegandolo su se stesso svariate volte. Questo lavoro d'impasto permetteva la riduzione delle inclusioni nocive e la diffusione del carbonio in modo uniforme nel pacchetto. Fu questa la tecnica utilizzata sicuramente in alcune lame etrusche del IV secolo a.C. in cui due tipi di acciaio-ferro più ferro meteorico vennero saldati insieme: l'acciaio (o ferro carburato) per il tagliente; il ferro e il ferro meteorico per i lati della lama, più morbidi e resilienti, ottenendo volutamente un notevole effetto estetico. Questa era la tecnica usata dai fabbri dei Celti e degli Antichi Romani, passata poi ai Germani che travolsero l'Impero romano creando l'Europa medievale.
Fu solo al tempo delle Crociate, concomitantemente all'aumento dei contatti con l'Oriente, che gli europei superarono il modello dell'acciaio a pacchetto scoprendo l'acciaio al crogiolo.
Oggi la tecnica del Damasco saldato è utilizzata per la produzione artigianale di coltelleria artistica. Si preparano pacchetti di diversi acciai guardando sia al contrasto cromatico sia alla funzionalità meccanica, i pacchetti si portano a temperatura di "bollitura", 1200-1300° Celsius a seconda degli acciai utilizzati, e battuti con martello e incudine o maglio o presse apposite. Con la battitura a caldo si ottiene una saldatura autogena dei vari strati d'acciaio, il pacchetto allungato, ripiegato, ritorto, inciso e ribattuto con le più svariate tecniche di forgiatura permette d'ottenere variazioni estetiche quasi infinite mantenendo la funzionalità della lama.
Il Wootz o acciaio al crogiolo è una tecnica metallurgica ben attestata in India già nel 300 ma probabilmente già diffusa in epoca anteriore (si arriva a parlare del III secolo a.C.). Consiste nel mettere il ferro spezzettato, ottenuto dai forni fusori primari, in piccoli crogioli in argilla refrattaria insieme a carbone di legna e vari tipi di foglie. Il crogiolo così riempito veniva sigillato e messo in una fornace per 24 ore ad una temperatura di circa 1200 gradi.
Nel crogiolo, il ferro si arricchiva di carbonio per diffusione. Ogni tanto il fabbro scuoteva i crogioli, infatti quando il tenore di carbonio cominciava ad avvicinarsi al 2% il ferro diveniva ghisa e fondeva. Agitando il crogiolo si sentiva lo "sguazzo" del ferro-acciaio nella ghisa appena fusa. A questo punto la fornace non era più alimentata e i crogioli venivano tenuti a raffreddare lentamente nella stessa per altre 12-24 ore. Il carbonio passava sempre per diffusione dalla ghisa fusa alla restante massa metallica ottenendo un acciaio con un tenore di carbonio del 1,5 %, a causa del lentissimo raffreddamento nel blocco si formava un macroreticolo di cementite (carburo di ferro). Il panetto d'acciaio così ottenuto veniva tagliato e forgiato. Durante la forgiatura non si doveva superare i 750 gradi pena la dissoluzione della cementite (principale fonte della damaschinatura), le martellature localizzate e locali asportazioni di materiale davano origine alle caratteristiche marezzature. Stesso discorso per la tempratura da farsi sempre a bassa temperatura di austenitizzazione.
Con l'operazione di levigatura si mettono in evidenza i diversi strati (la cosiddetta damaschinatura), che somigliano a quelli che si avevano nelle spade Damasco (l'effetto è simile alle striature del legno). A fine lavorazione, la trama poteva essere ulteriormente evidenziata immergendo l'oggetto in acido, onde corrodere in modo differenziato i diversi strati.
Recenti studi hanno evidenziato la presenza di nanotubi di carbonio (creati ovviamente in modo inconsapevole dai fabbri dell'epoca) nell'acciaio Wootz che potrebbero spiegare le sue notevoli proprietà meccaniche.
Nel 1400 a Toledo, città nel centro della Spagna, la leggenda narra che un fabbro, in preda ai fumi del vino, temprò una lama di acciaio damasco nell'urina dei cavalli di un vicino maneggio anziché nell'acqua. Poiché l'urina contiene composti azotati e urea, composto basico, l'acciaio della lama subì un processo di nitrurazione. Da lì in poi la fama delle lame di Toledo si sparse in Europa e anche oltre i suoi confini.
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Intorno alla seconda metà del XVIII secolo (circa 1750), la tecnica di realizzazione dell'acciaio Damasco scomparve. Le cause e le tappe di questo drastico processo di impoverimento del bagaglio artigianal-siderurgico dell'umanità sono ad oggi poco chiare. La gravità e la drastica evidenza del dato di fatto furono invece ben evidenti sin dai primordi del XIX secolo. Diversi studiosi, foraggiati e spronati da potentati e sovrani europei, investigarono le cause di questa "calamità". Un generale dell'Impero russo, P.P. Anossow (1797-1851), promosse l'invio di una missione tecnologica nel Caucaso per permettere agli occidentali di riappropriarsi del "segreto del Damasco" ma l'esperimentò fallì perché anche i fabbri caucasici avevano ormai esaurito le loro scorte del prezioso materiale[1].
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