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Thor, o in versione latinizzata Thoro[1], (norreno Þórr, islandese Þór, tedesco antico e nederlandese Donar, inglese antico Þūnor, faroese Tórur, svedese, norvegese e danese Tor, frisone Tonger) è una delle principali divinità scandinave, ed è il dio del tuono, del fulmine e della tempesta. La mitologia norrena è ricca di racconti sulle gesta di Thor e sulla sua perenne lotta contro gli Jǫtnar. La lettera runica Þ si pronuncia “Th”. Il nome "Thor" e le sue varianti derivano tutte dal proto-germanico *Thunraz, cioè "fulmine", "tuono" (nelle lingue germaniche odierne: inglese thunder, olandese donder, tedesco Donner). Thor rappresenta teologicamente il dio (e l'uomo) che possiede, oppure è totalmente identificato, con l'"arma" divina, la "virtù", ossia la "vista" del principio cosmico (il Martello di Thor, comparato al Vajra vedico-tibetano). È il protettore dell'umanità.[2]
Figlio di Odino, re degli dèi, e di Jǫrð, dèa della terra, era il più forte degli Æsir e di tutti gli dèi e di conseguenza dimorava ad ÁsgarðrÁsgarðr, nel regno di Þrúðvangar, nel castello Bilskirnir.
Mentre Odino era considerato re degli dèi, il rosso Thor dalla fluente barba e dai possenti muscoli era forse più il dio degli uomini: era infatti molto amato dagli scandinavi, probabilmente più di Odino stesso, tanto che i Vichinghi si definivano Popolo di Thor. Thor presentava due aspetti della personalità prominenti: il primo era quello del gigante accigliato e brutale, mentre dall'altra faccia della medaglia, emergevano la bonarietà e una rappresentazione dai contorni comici.
Sua moglie, dea delle messi, del grano, del raccolto e della guerra, [3] si chiamava Sif, ma poco si conosce di lei a parte che avesse i capelli d'oro come il grano, fabbricati per lei dai nani dopo che Loki le aveva tagliato quelli originali. Thor ebbe molti altri amori oltre alla moglie: la gigantessa Járnsaxa partorì suo figlio Magni mentre con Sif ebbe Þrúðr e Móði; aveva anche un figliastro Ullr che era in realtà solo figlio di Sif.
La sua forza, già leggendaria, era aumentata da tre oggetti che non abbandonava mai e che lo rendevano quasi invincibile: una cintura che raddoppiava la forza di chi la indossava, un paio di guanti di ferro e il leggendario martello Mjöllnir, strumento usato per colpire i mostri e i nemici, dal funzionamento analogo a quello di un boomerang, che simbolicamente rappresentava il fulmine e, dunque, preannunciava le piogge. I contadini solevano indossare catenine con appesi martelletti proprio per ingraziarsi la divinità.
Il suo mezzo di spostamento era un carro trainato da due capre (Tanngnjóstr e Tanngrisnir). Anche questi animali avevano proprietà portentose: per Thor, durante i suoi viaggi, era consuetudine cibarsene considerando che, conservando le pelli e le ossa, il mattino seguente sarebbero rinate.
Nelle sue frequenti scorrerie era spesso accompagnato da Loki. Nelle sue epiche gigantomachie traspare il senso di una mitica iniziazione che gli consentirà, dopo aver dimostrato tutto il suo valore, di ottenere i meritati "gradi".[4]
Nel corso del Ragnarǫk, Thor ucciderà e sarà ucciso da Miðgarðsormr (o anche Jǫrmungandr), il serpente di Miðgarðr (la Terra): Thor ucciderà il serpente e, ammorbato dal suo soffio velenoso, farà solo nove passi prima di cadere a sua volta a terra morto, quasi a voler simboleggiare l'eterna lotta fra il bene e il male.[5]
Del mito di Thor oggi sono rimaste alcune testimonianze in alcuni nomi che derivano proprio dalla parola Thor:
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