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In fisica nucleare la fusione nucleare è il processo di reazione nucleare attraverso il quale i nuclei di due o più atomi vengono avvicinati o compressi a tal punto da superare la repulsione elettromagnetica e unirsi tra loro generando il nucleo di un elemento di massa minore, o maggiore, della somma delle masse dei nuclei reagenti, nonché, talvolta, uno o più neutroni liberi.
La fusione di elementi fino ai numeri atomici 26 e 28 (ferro e nichel) è una reazione esotermica, cioè emette energia[2] essendovi una perdita di massa; per numeri atomici superiori la reazione è endotermica, assorbendo energia per la costituzione di nuclei atomici di massa maggiore.
Il processo di fusione è il meccanismo che alimenta le stelle, dove si generano tutti gli elementi che costituiscono l'universo, dall'elio fino all'uranio. La fusione è stata riprodotta dall'uomo con la realizzazione della bomba H. Studi sono in corso per riprodurre a fini energetici fenomeni di fusione nucleare controllata in reattori nucleari a fusione.
Nella fusione nucleare la massa e l'energia sono legate dalla teoria della relatività ristretta di Einstein secondo l'equazione:
in cui:
In questo tipo di reazione il nuovo nucleo costituito e il neutrone liberato hanno una massa totale minore della somma delle masse dei nuclei reagenti, con conseguente liberazione di un'elevata quantità di energia, principalmente energia cinetica dei prodotti della fusione.
Affinché avvenga una fusione, i nuclei devono essere sufficientemente vicini, in modo che la forza nucleare forte predomini sulla repulsione coulombiana (i due nuclei hanno carica elettrica positiva, si respingono): ciò avviene a distanze molto piccole, dell'ordine di qualche femtometro (10−15 metri). L'energia necessaria per superare la repulsione coulombiana può essere fornita ai nuclei portandoli ad altissima pressione (altissima temperatura, circa 10⁷ kelvin, e/o altissima densità).
La fusione nucleare, nei processi terrestri, è usata in forma incontrollata per le bombe a idrogeno e in forma controllata nei reattori a fusione termonucleare, ancora in fase sperimentale.
L'energia potenziale totale di un nucleo è notevolmente superiore all'energia che lega gli elettroni al nucleo. Pertanto l'energia rilasciata nella maggior parte delle reazioni nucleari è notevolmente maggiore di quella delle reazioni chimiche. Ad esempio l'energia di legame dell'elettrone al nucleo di idrogeno è di 13,6 eV mentre l'energia che viene rilasciata dalla reazione D-T mostrata in seguito è pari a 17,6 MeV, cioè più di un milione di volte la prima. Con un grammo di deuterio e trizio si potrebbe quindi produrre l'energia sviluppata da 11 tonnellate di carbone.
Gli atomi interessati dal processo di fusione nucleare, in natura e in ingegneria, sono gli isotopi dell'atomo di idrogeno, caratterizzati da minimo numero atomico, a cui corrisponde la minima energia di innesco. Tuttavia all'interno delle stelle più grandi è possibile anche la fusione di elementi più pesanti, si ritiene fino al ferro.
La fusione nucleare controllata potrebbe risolvere la maggior parte dei problemi energetici sulla terra, perché potrebbe produrre quantità pressoché illimitate di energia senza emissioni di gas nocivi o gas serra e con la produzione di limitate quantità di scorie radioattive fra cui il trizio; una piccola quantità di radioattività residua interesserebbe solo alcuni componenti del reattore a fusione sottoposti a bombardamento neutronico durante i processi di fusione. Queste componenti sarebbero peraltro facilmente rimpiazzabili; i tempi di dimezzamento della radioattività residua sarebbero confrontabili con la vita media della centrale (decine d'anni).
Partendo dagli esperimenti sulla trasmutazione nucleare di Ernest Rutherford, condotti parecchi anni prima, la fusione in laboratori di isotopi pesanti dell'idrogeno fu realizzata per la prima volta da Mark Oliphant nel 1932. Durante il resto di quel decennio gli stadi del ciclo principale della fusione nucleare nelle stelle furono ricavati da Hans Bethe. Le ricerche sulla fusione per scopi militari cominciarono all'inizio degli anni 40 come parte del Progetto Manhattan, ma questo fu realizzato solo nel 1951 (vedi il test nucleare del Greenhouse Item), e la fusione nucleare su vasta scala in un'esplosione fu eseguita per la prima volta il 1º novembre 1952, nel test sulla bomba a idrogeno denominato Ivy Mike.
Le ricerche sullo sviluppo della fusione termonucleare controllata per scopi civili cominciarono anch'essi seriamente negli anni 50, e continuano ancora oggi. Due progetti, il National Ignition Facility[3] e l'ITER[4] sono in corso per raggiungere l'obiettivo dopo 60 anni di miglioramenti dei modelli sviluppati dai precedenti esperimenti. Anche l'Italia sta studiando la possibilità di realizzare un reattore sperimentale a fusione nucleare con confinamento magnetico. Il progetto in questione si chiama IGNITOR ed è stato realizzato dall'ENEA; pur essendo ormai il progetto in fase avanzata, la sua costruzione non è ancora cominciata.
(D è il simbolo convenzionale per il deuterio, 2H, e T per il trizio, 3H)
La fusione è la fonte di energia del Sole e delle altre stelle, il loro combustibile è confinato dalla forza della loro stessa gravità. Nelle stelle di massa inferiore o uguale a quella del Sole prevale la reazione a catena protone-protone, in stelle di massa maggiore è predominante il ciclo CNO. Entrambe le reazioni hanno temperature di soglia considerevolmente maggiori e pertanto velocità di reazione inferiori rispetto a quelle oggetto di studio sulla Terra.
Per la realizzazione di reattori a fusione, il primo problema è di individuare reazioni aventi una bassa energia di soglia. Questo significa un criterio di Lawson inferiore e quindi un minore sforzo iniziale. Il secondo problema è rappresentato dalla produzione di neutroni, difficili da gestire e controllare. Le reazioni che non liberano neutroni, dette aneutroniche, sono di grande interesse, così come quelle che liberano neutroni a bassa energia.
Reazioni a bassa energia di soglia:
reazione D-T (la soglia più bassa, ~50 keV)
reazione D-D (le due reazioni hanno la stessa probabilità di avvenire)
reazione T-T
Altre reazioni interessanti, per la maggior parte aneutroniche:
reazioni dell'3He
reazioni del 6Li
reazioni generatrici di trizio, usate nelle bombe a fusione "secca" e in alcuni progetti di reattore a fusione:
reazioni del 11B
Si noti che molte delle reazioni sono parte di processi a catena. Per esempio, un reattore alimentato con T e 3He produce del D che, se le energie in gioco lo consentono, può prendere parte alla reazione D + 3He.
Le due reazioni aneutroniche più studiate sono T + 3He e D + 6Li, quest'ultima è alla base delle bombe termonucleari a fusione. In ogni caso tutte queste reazioni, anche quelle aneutroniche, non avvengono in modo "pulito", bensì in contemporanea a una serie di reazioni secondarie, di cui alcune generano neutroni.
La reazione più studiata per scopi pacifici è la reazione deuterio-trizio (D-T), che è quella a energia di attivazione più bassa: ciò permette di utilizzare dei reagenti a temperature nettamente più basse che nelle altre reazioni (tipicamente, a una temperatura di 20 keV equivalente a circa 200 milioni di gradi). Lo svantaggio è la produzione di neutroni ad alte energie (14,1 MeV), che essendo privi di carica non possono essere confinati da un campo magnetico e necessitano di schermature apposite (cemento armato), e tendono ad attivare i materiali metallici nelle vicinanze. Questo è uno dei principali problemi per un reattore a fusione, come ITER. I neutroni rappresentano però una possibile fonte per la produzione di calore nelle pareti, sfruttabile per la produzione di energia elettrica e del T da reazioni di cattura in speciali pareti (blanket triziogeno) della macchina.
Ci sono studi che esplorano le possibilità di sfruttamento pacifico della reazione deuterio-deuterio (D-D), che nel 50% dei casi produce neutroni con un'energia nettamente più bassa (2,5 MeV circa). L'energia di attivazione è però molto più elevata che nel caso D-T, per cui allo stato attuale delle ricerche la possibilità di usare questo tipo di reazione è abbastanza remota.
C'è da sottolineare, infine, che i requisiti di un reattore a fusione (assenza di reazioni a catena, possibilmente basso flusso neutronico, bassa energia di attivazione) sono esattamente l'opposto di quelli per una bomba all'idrogeno. Nel caso della fusione nucleare quindi, la separazione fra ricerca civile e militare è più netta che nel caso della fissione nucleare.
Negli ultimi sessant'anni è stato profuso un notevole sforzo teorico e sperimentale per mettere a punto la fusione nucleare per generare elettricità e anche come sistema di propulsione per razzi, ben più efficiente dei sistemi basati su reazioni chimiche o sulla reazione di fissione.
Al momento il progetto più avanzato verso la realizzazione di energia elettrica da fusione è ITER:[4] un reattore a fusione termonucleare (basato sulla configurazione di tipo tokamak). ITER è un progetto internazionale cooperativo tra Unione europea, Russia, Cina, Giappone, Stati Uniti d'America, Corea del Sud e India. ITER però non è ancora il prototipo di centrale di produzione di energia elettrica ma solo una macchina sperimentale destinata a dimostrare di poter ottenere le condizioni di guadagno energetico necessarie. DEMO è invece il prototipo di centrale in fase di studio dagli stessi partecipanti al progetto ITER.[5]
Per spingere atomi di idrogeno a fondere in maniera controllata all'interno di un reattore o, più in generale, di una camera, il combustibile deve essere innanzitutto confinato spazialmente attraverso opportune tecniche, al fine di conferire a esso le caratteristiche fisiche ideali espresse nel criterio di Lawson.
Lo stesso argomento in dettaglio: Fusione a confinamento inerziale. |
Il combustibile nucleare può essere compresso all'ignizione con un bombardamento di fotoni, di altre particelle o tramite un'esplosione.[6][7] Nel caso dell'esplosione, il tempo di confinamento risulterà essere abbastanza breve. Questo è il processo usato nella bomba all'idrogeno, in cui una potente esplosione provocata da una bomba a fissione nucleare comprime un piccolo cilindro di combustibile per fusione.
Nella bomba all'idrogeno, l'energia sviluppata da una bomba nucleare a fissione viene utilizzata per comprimere il combustibile, solitamente un miscuglio di deuterio e trizio, fino alla temperatura di fusione. L'esplosione della bomba a fissione genera una serie di raggi X che creano un'onda termica che propagandosi nella testata comprime e riscalda il deuterio e il trizio generando la fusione nucleare.
Altre forme di confinamento inerziale sono state tentate per i reattori a fusione, incluso l'uso di grandi laser focalizzati su una piccola quantità di combustibile, o usando gli ioni del combustibile stesso accelerati verso una regione centrale, come nel fusore di Farnsworth-Hirsch o nel fusore Polywell.
Nel 2004 scienziati russi, diretti da Vladimir Krainov, riescono a produrre una reazione di fusione nucleare controllata innescata dal confinamento laser, tra protoni (atomi d'idrogeno privi dell'elettrone) e atomi di boro, alla temperatura di 1 miliardo di kelvin, senza emissione di neutroni e particelle radioattive, a esclusione di particelle alfa. Ma l'energia richiesta dal laser supera di molto quella prodotta dalla reazione[8][9][10].
Nel gennaio 2013, un gruppo di ricercatori italiani e cechi diretti dal Dr. Antonino Picciotto (Micro-nano facility, Fondazione Bruno Kessler, Trento) e dal Dr. Daniele Margarone (Institute of Physics ASCR, v.v.i. (FZU), ELI-Beamlines Project, 182 21 Prague, Czech Republic) hanno ottenuto il record di produzione di particelle alfa (10^9 per steradianti) senza emissione di neutroni, utilizzando per la prima volta un target di silicio-boro-idrogenato ed un laser con intensità 1000 volte inferiore rispetto agli esperimenti precedenti.[11]
Un plasma è costituito da particelle cariche che possono quindi essere confinate da un appropriato campo magnetico. Sono noti molti modi di generare un campo magnetico in grado di isolare un plasma in fusione; tuttavia, in tutte queste configurazioni, le particelle cariche che compongono il plasma interagiscono inevitabilmente con il campo, influenzando l'efficienza del confinamento e riscaldando il sistema. Due sono le geometrie che si sono rivelate interessanti per confinare plasmi per fusione: lo specchio magnetico e il toro magnetico. Lo specchio magnetico è una configurazione "aperta", cioè non è chiusa su sé stessa, mentre il toro (una figura geometrica a forma di "ciambella") è una configurazione chiusa su sé stessa intorno a un buco centrale. Varianti del toro sono le configurazioni sferiche, in cui il buco al centro del toro è di dimensioni molto ridotte ma pur sempre presente.
Ognuno di questi sistemi di confinamento ha diverse realizzazioni, che differiscono tra loro nell'enfatizzare l'efficienza del confinamento o nel semplificare i requisiti tecnici necessari per la realizzazione del campo magnetico. La ricerca sugli specchi magnetici e su altre configurazioni aperte (bottiglie magnetiche, "pinch" lineari, cuspidi, ottupoli, ecc.) ha avuto un grande sviluppo negli anni 1960-1970, poi è stata abbandonata per le inevitabili perdite di particelle agli estremi della configurazione. Invece, una variante dei sistemi toroidali, il tokamak, è risultato essere una soluzione inizialmente più semplice di altre per un'implementazione da laboratorio. Ciò, assieme a una prospettiva remunerativa futura, l'ha reso il sistema su cui la ricerca scientifica in questo settore ha mosso i suoi passi più significativi. Attualmente il più promettente esperimento in questo campo è il progetto ITER. Esistono comunque delle varianti di configurazioni toroidali, come lo stellarator (che è caratterizzato dall'assenza di un circuito per generare una corrente nel plasma) e il Reversed-field pinch (RFP).
Nel 2009 usando la macchina RFX a Padova è stato dimostrato sperimentalmente che, in accordo con quanto previsto da un modello matematico, si può migliorare il confinamento dando al plasma presente nel Reversed Field Pinch una forma a elica.[12]
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